Il disegno di legge 1441-bis B, in corso di approvazione alla Camera, prevede l’inserimento del seguente comma all’art. 101:
“Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione”.
In buona sostanza viene introdotto il principio del contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio dal giudice che attualmente registra un contrasto giurisprudenziale (in senso affermativo v. ad es. Cass. civ. n. 16577/2005; contra, v. Cass. civ. n. 15705/2005).
La questione era stata affrontata “ex professo” dalla S.C. con sentenza n. 14637/2001 in un caso in cui il Pretore aveva rilevato d’ufficio, direttamente in sentenza, la carenza del potere sanzionatorio della P.A., così annullando l’ordinanza ingiunzione emessa, nonostante dalle parti non si fosse mai messo in discussione tale potere.
La Corte, in quella occasione, osservò che il comma 3 dell’art. 183 c.p.c. (oggi quarto comma), il quale recita il giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari ed indica le questioni rilevabili di ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione, “esprime pienamente il principio del contraddittorio che governa il processo. Contraddittorio che il giudice deve fare osservare e deve osservare egli per primo, tant’è che deve significare alle parti le questioni che ritiene rilevino, cosicché esse non possano trovarsi di fronte ad una decisione a sorpresa, adottata sulla base di una terza via rispetto a quelle alternativamente da esse sostenute”.
Tale affermazione, secondo il S.C., risulta coerente con il regime delle preclusioni e dello “ius poenitendi” (n. 4 della norma citata, oggi 5) i quali consentono alle parti di aggiustare il tiro, anche in considerazione delle rispettive difese, cosicché è la dialettica del processo che segna il limite alle possibili novità. E la dialettica è travolta se si consente una decisione sulla base di questioni che ne sono state estranee, ancorché un tale effetto risalga all’esercizio dei poteri del giudice.
Il predetto principio, a parere del Collegio, prescinde, per la sua centralità nell’intero processo, dal meccanismo particolare della prima udienza di trattazione. Pertanto il giudice che ritenga dopo di tale udienza di far rilevare un fatto o una questione non considerati dalle parti, deve segnalarli alle medesime e consentire che prendano posizione.
Conferma dell’ultima conclusione esposta si trae dalla norma dell’art. 184 bis c.p.c., secondo la quale la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per cause ad essa non imputabili può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini. Essa infatti esprime lo stesso principio del contraddittorio perché, rimettendo in termini la parte che senza colpa non ha potuto giovarsi delle facoltà che la legge prevede sia nella fase di trattazione che in quella dedicata alle deduzioni istruttorie, consente di strutturare un contraddittorio altrimenti carente.
Pertanto in base a tale norma, concluse la Cassazione, se il giudice si avvede tardivamente di una questione rilevabile di ufficio, e la indica alle parti dopo dell’udienza di trattazione, deve consentire ad esse di eccepire e di argomentare, con analoga tardività.
Un autorevole autore, il Luiso, applaudì la pronuncia per la sensibilità dimostrata dalla Corte verso il principio del contraddittorio. Se la riforma verrà approvata il principio verrà finalmente consacrato in una norma di legge.

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Perché escludere le controversie di lavoro? Sarebbe stato un ottimo strumento nei casi il cui il datore rifiuti di reintegrare o comunque riammettere in servizio il lavoratore vittorioso in giudizio!
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