L’amico e Collega Vincenzo Blasi di Fano, mi ha trasmesso una sentenza del Tribunale di Senigallia che affronta il tema della citazione del terzo nel procedimento in opposizione a decreto ingiuntivo, allorquando l’iniziativa della chiamata provenga dall’opponente.
Qual’è la giusta procedura in questi casi?
Al riguardo le soluzioni sono due:
- chiedere al giudice l’autorizzazione a citare il terzo;
- citare il terzo direttamente con l’atto di citazione in opposizione.
Il primo orientamento è quello fatto proprio dalla giurisprudenza della Cassazione (da ultimo v. Cass. civile , sez. III, 01 marzo 2007, n. 4800, cui si è allineato il Tribunale di Senigallia), la quale ha ribadito che:
- in tema di procedimento per ingiunzione, per effetto dell’opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso;
- pertanto il creditore mantiene la veste di attore e l’opponente quella di convenuto;
- ciò esplica i suoi effetti non solo in tema di onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni processuali rispettivamente previsti per ciascuna delle parti;
- ne consegue che il disposto dell’art. 269 c.p.c., che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con l’opposizione al decreto, dovendo in ogni caso l’opponente citare unicamente il soggetto che ha ottenuto detto provvedimento e non potendo le parti originariamente essere altre che il soggetto istante per l’ingiunzione e il soggetto nei cui confronti la domanda è diretta;
- pertanto l’opponente deve necessariamente chiedere al giudice, con l’atto di opposizione, l’autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritenga comune la causa sulla base dell’esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto,
Dissentono espressamente da questo orientamento molti giudici di merito, tra cui il Tribunale di Catania (1 dicembre 2004; v. anche Trib. Milano, 6 settembre 2006; id. 16 febbraio 2006; id. Corte appello Firenze, 19 ottobre 2005, n. 1471, sez. I; Tribunale Catania, 10 settembre 2004; Tribunale Reggio Calabria, 24 maggio 2004; Tribunale Casale Monferrato, 22 dicembre 2003; Tribunale Torino, sez. VIII, 31 maggio 2003), il quale osserva:
- la ratio della disposizione con la quale l’art. 269 c.p.c. onera il convenuto – a pena di inammissibilità della sua chiamata del terzo – di chiedere al giudice, con la comparsa di risposta, il differimento della prima udienza è quella di evitare che l’udienza di prima comparizione si svolga invano, vada per così dire a vuoto;
- l’art. 269 c.p.c. avrebbe, infatti, potuto prevedere una facoltà e non un onere del convenuto di chiedere il differimento della prima udienza con la comparsa di risposta. Con il che il convenuto sarebbe rimasto libero di comparire alla prima udienza e lì chiedere un rinvio con fissazione di altra udienza alla quale chiamare il terzo.
il legislatore non ha voluto consentire ciò e ha reso obbligatoria per il convenuto la richiesta immediata di fissazione della nuova udienza da parte del giudice; - ciò ha con evidenza, come si è appena detto, lo scopo di accelerare il processo, evitando udienze di mero rinvio. Ma la Corte Suprema, disponendo che l’opponente a decreto ingiuntivo che voglia chiamare un terzo in causa non debba farlo subito, con l’atto di citazione, ma debba attendere la prima udienza e lì chiedere al giudice di fissarne un’altra alla quale chiamare il terzo, tradisce, contraddicendola, la ratio dell’art. 269 c.p.c.
- Concludendo, deve ritenersi che:
1. l’opponente a decreto ingiuntivo è attore nel giudizio di opposizione ed è attore nell’unico senso che può darsi a questa parola: quello formale/processuale;
2. l’opponente, come qualunque parte (sia attrice che convenuta) di qualunque giudizio, non ha bisogno di alcuna autorizzazione del giudice per chiamare in giudizio alla prima udienza coloro nei confronti dei quali vuole che il giudizio si svolga (una tale autorizzazione non essendo più prevista dal codice di rito);
3. l’opponente, fissando egli stesso con l’atto di citazione la data dell’udienza di prima comparizione ed essendo illogico che, fissandola egli stesso, ne chieda uno spostamento al giudice, può e deve chiamare alla prima udienza tutti coloro nei confronti dei quali vuole che il giudizio si svolga. A maggior ragione così agirà l’opponente nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo nel rito del lavoro, notificando il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza di prima comparizione a tutte le parti nei confronti delle quali proponga delle domande;
4. sarà, casomai, l’opposto che, se vorrà chiamare altri ancora, dovrà chiedere al giudice non già un’autorizzazione, ma lo spostamento dell’udienza ai sensi dell’art. 269 c.p.c.
Va sottolineato, a questo punto, come questa ricostruzione della materia, oltre a sembrare l’unica coerente con i dati normativi, è anche quella più coerente con la costante affermazione della Corte di Cassazione secondo la quale « posizione al decreto ingiuntivo (…) dà luogo a un ordinario giudizio di cognizione» (Cass., Sez. I, 22 febbraio 2002, n. 2573. E moltissime altre sempre conformi, fra le quali Cass., Sez. I, 19 maggio 2000, n. 6528; Cass. 29 gennaio 1999, n. 813; Cass., Sez. Lav., 17 novembre 1997, n. 11417, secondo la quale, testualmente, «l’opposizione al decreto ingiuntivo si configura come atto introduttivo di un giudizio ordinario di cognizione»; Cass., Sez. II, 11 agosto 1997, n. 7476; Cass., Sez. Lav., 28 gennaio 1995, n. 1052; Cass., Sez. II, 4 maggio 1994, n. 4286; Cass., Sez. II, 5 novembre 1992, n. 12000; Cass., Sez. Lav., 8 febbraio 1992, n. 1410; Cass., Sez. II, 25 luglio 1983, n. 5119; Cass., Sez. I, 10 gennaio 1980, n. 184).
E riprova del fatto che, comunque vogliano classificarsi accademicamente i rapporti fra il procedimento monitorio e il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, vi è certamente una incontrovertibile distinzione processuale fra i due procedimenti si trae dalla circostanza che l’opposto può restare contumace – e tale essere dichiarato a tutti gli effetti – nel giudizio di opposizione.
Anche il Tribunale di Milano (6 febbraio 2006) giunge alle stesse conclusioni:
- rilevato sulla la richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa del terzo da parte dell’opponente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo che non si condivide l’orientamento della Corte di legittimità ( Cass. N. 8718/2000, Cass.n.1185/2003 e Cass.n.13272/2004 );
- rilevato infatti che tale orientamento sembra giungere ad una conclusione, circa le modalità di chiamata in giudizio del terzo da parte dell’opponente, sostanzialmente e processualmente convenuta, non in linea con le sue stesse premesse.
- L’orientamento della Corte di Cassazione parte dalla premessa che la parte opponente ha i poteri processuali propri del convenuto essendo stata proposta domanda giudiziale nei suoi confronti con il deposito del ricorso per ingiunzione che costituisce atto di esercizio dell’azione.
- Data questa premessa però non si può giungere alla conclusione cui perviene la Suprema Corte ovvero che per chiamare in causa il terzo l’opponente (convenuto sostanziale e processuale) deve chiedere l’autorizzazione al giudice in quanto l’art. 269 comma 2 c.p.c. prevede che il convenuto possa sempre, purché si costituisca tempestivamente, chiamare in causa il terzo, senza la necessità di alcuna autorizzazione del giudice ma solo con la richiesta dello spostamento della data della prima udienza al fine di poter, nei termini di legge per la comparizione ( art.163 bis c.p.c.), notificare al terzo l’atto di citazione.
- In generale va detto infatti che il giudice non ha alcun potere discrezionale, sul presupposto della sua tempestiva costituzione in giudizio, sulla chiamata del terzo da parte del convenuto, attività che rientra insindacabilmente nei poteri di questa parte che si sia costituita nei termini.
- Diversamente, nell’ipotesi in cui l’iniziativa sia dell’attore, il giudice valuta e, se la ritiene fondata e/o opportuna, concede a tale parte l’autorizzazione alla chiamata in causa del terzo (ex art. 269 comma 3 c.p.c.).
- La diversità dei poteri del giudice rispetto all’iniziativa della chiamata in giudizio del terzo dell’attore e del convenuto emerge dalla lettera dell’ art. 269 c.p.c. che prevede, con riferimento al convenuto che intende chiamare in giudizio il terzo, la presentazione dell’istanza al giudice per lo spostamento della data della prima udienza e, con riferimento all’attore, la presentazione della richiesta al giudice di autorizzazione alla chiamata del terzo; la lettera della norma evidenzia in tal modo le diverse facoltà delle parti circa la chiamata in causa di un terzo e i diversi poteri del giudice: il convenuto può se si costituisce nei termini chiamare il terzo senza bisogno di autorizzazione alcuna; l’attore invece deve essere autorizzato dal giudice che a ciò provvede verificata la sussistenza dei presupposti di cui all’art.183 co 4 e 269 co 3 c.p.c..
- In questo sistema e data la premessa della Corte di legittimità l’opponente/convenuto deve procedere con le stesse modalità previste dall’art. 269 comma 2 c.p.c. per la chiamata in giudizio del terzo – con atto di citazione nei termini di cui all’art. 163 bis c.p.c.- e, quindi, con lo stesso atto di opposizione omettendo la sola formalità della richiesta di differimento della data della prima udienza che nel meccanismo di inizio del giudizio di opposizione d D.I. (su iniziativa del medesimo opponente/convenuto con atto di citazione a udienza fissa) non ha alcun senso e necessità in quanto è lo stesso opponente che fissa, quando crede, nell’atto di citazione la data dell’udienza; la facoltà del convenuto di chiamare in causa un terzo si fonda sul principio del simultaneus processus di cause connesse salvo il potere del giudice di disporne la separazione ex art. 103 co 2 c.p.c.;
- ritenuto pertanto che nessuna autorizzazione può essere data dal giudice in ordine alla richiesta dell’opponente.
Noi non possiamo che sottolineare il fatto che mentre i giudici litigano, le parti si vedono negare l’accesso alla giustizia. E questo è grave.

Consentendo la chiamata senza autorizzazione si viene a ledere il diritto dell’opposto a una rapida definizione del giudizio che informa il procedimento monitorio. Ciò è tanto più evidente quando l’ingiunto fissa l’udienza di comparizione superando i termini ordinari. Infatti se l’opposto vuole chiedere’ ex art. 163, II c.p.c.’ l’abbreviazione della data stabilita dall’opponente deve rinunciarvi data la materiale impossibilità di rispettare i termini a difesa per il chiamato. Infatti, dovendo attendere l’espletamento della necessaria attività burocratica connessa alla iscrizione a ruolo dell’opposizione e dovendo attendere i tempi per l’emissione del provvedimento di anticipazione,appare evidente che la notifica sarà tempestiva per l’ingiunto ma sicuramente tardiva per il terzo.
Domanda, in un’opposizione a precetto, posso fare la chiamata di terzo? Per analogia ritengo di sì… si tratta dell’obbligo di garanzia ex art. 1917 c.c.