Una delle modifiche più rappresentative della pedanteria del legislatore riformatore è quella che riguarda l’art. 366 c.p.c.
La norma, come è noto, descrive il contenuto necessario del ricorso per cassazione.
Modificati i n. 3, 4 e 6 in questo modo:
Si ribadisce la necessità di essere “chiari” e “sintetici” e di indicare specificamente la rilevanza degli atti e dei documenti sui quali ciascun motivo si fonda.
Nulla di nuovo sotto il sole. Forse le modifiche incideranno sui ricorsi ponentesi nella zona grigia, cioè non eccessivamente prolissi, ma nemmeno sintetici e chiari. La modifica consentirà alla Corte di dichiararne l’inammissibilità senza troppi problemi.
Non più necessaria l’anacronistica necessità di elezione di domicilio nel Comune di Roma, ovvero in alternativa l’indicazione espressa della PEC (come non ricordare qui le pronunce “spaccacapello” che avevano ritenuto rilevante il riferimento alle sole “comunicazioni di cancelleria”, per escludere una valida elezione di domicilio telematico rilevante anche per le parti intimate).
Infine, è stato eliminato anche il quarto comma dell’art. 366 c.p.c., non avendo più ragione il mantenimento, per il giudizio di legittimità, di una disciplina specifica delle comunicazioni a cura della cancelleria e delle notificazioni effettuate dagli avvocati ai sensi della l. n. 53 del 1994. Oggi, infatti, le comunicazioni di cancelleria e le notificazioni degli avvocati sono state sostanzialmente equiparate sotto il profilo del contenuto e delle modalità di trasmissione e devono essere effettuate esclusivamente a mezzo della posta elettronica certificata.
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