Cass. 7600/2023
“.. deve evidenziarsi che è fondata anche la seconda eccezione della controricorrente e che il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366, comma 1, nn. 3, 4, cod. proc. civ. (ratione temporis applicabili), che prescrive che l’atto sia redatto in forma sintetica, con una selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice, in un’ottica di economia processuale, che deve trovare riscontro nella formulazione, altrettanto concisa, dei motivi di ricorso.
Com’e’ noto, infatti, l’art. 366 c.p.c., nel dettare le condizioni formali del ricorso, ossia i requisiti di “forma-contenuto” dell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, configura un vero e proprio “modello legale” del ricorso per cassazione, la cui mancata osservanza è sanzionata con l’inammissibilità del ricorso stesso.
In proposito il collegio intende ribadire l’orientamento espresso più volte da questa Corte e da ultimo anche a Sezioni Unite con la pronuncia n. 37552 del 2021 secondo cui: “Il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c.” (ex plurimis Sez. U, Ord. n. 37552 del 2021).
Nella specie, l’inosservanza del requisito di sinteticità e chiarezza pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (Cost., art. 24), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (Cost., artt. 111, comma 2, e 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui (Sez. 5, Sent. n. 8425 del 2020).
Deve osservarsi, infatti, che la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila – ha già ritenuto inammissibile l’appello proposto da A.A. e A.L., con riferimento ai primi due motivi perché confusi privo di logica espositiva e incomprensibili tanto da non rispettare i requisiti di specificità di cui all’art. 342 c.p.c. Quanto ai restanti motivi la Corte d’Appello li ha ritenuti manifestamente infondati.
Ebbene, alla relativa semplicità delle questioni giuridiche concernenti la controversia, congruamente illustrata nella sentenza impugnata, si contrappone un ricorso di 65 pagine che non rispetta i canoni redazionali della chiarezza e della sinteticità e, anzi, è ponderoso, ipertrofico, con una mescolanza di elementi di fatto ed elementi di diritto che rendono incomprensibile le ragioni delle doglianze, risultando palese la violazione dei principi di sinteticità e chiarezza sopra richiamati.
I motivi, infatti, sono formulati in maniera farraginosa, disordinata confusa, con una prosa involuta, difficilmente comprensibile, appesantita da continue e ridondanti ripetizioni e sovrapposizioni di elementi di fatto e di diritto, rendendo impossibile per il Collegio di discernere le critiche rivolte alla sentenza impugnata in vista del controllo di legittimità. Tale tecnica redazionale non è compatibile con i principi esposti che definiscono le modalità di introduzione del giudizio di legittimità sulla base del disposto dell’art. 366 c.p.c. come interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte.
Risulta pertanto palese la violazione dei principi di sinteticità e chiarezza del ricorso. In relazione a tali principi questa Corte ha già avuto modo di affermare, con la sentenza n. 17698/14, che il mancato rispetto del dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva espone il ricorrente per cassazione al rischio di una declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione, in quanto esso collide con l’obiettivo di attribuire maggiore rilevanza allo scopo del processo, tendente ad una decisione di merito, al duplice fine di assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa di cui alla Cost., art. 24, nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui alla Cost., art. 111, comma 2, e in coerenza con l’art. 6 CEDU, nonché di evitare di gravare sia lo Stato che le parti di oneri processuali superflui.
Detta violazione, infatti, rischia di pregiudicare la intelligibilità delle questioni sottoposte all’esame della Corte, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, quindi, in definitiva, ridondando nella violazione delle prescrizioni assistite dalla sanzione testuale di inammissibilità, di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c..
Ciò è quanto appunto si verifica nel caso in esame, nel quale i fatti di causa non vengono sinteticamente esposti dal ricorrente, ma sono ricostruiti in modo del tutto disorganizzato demandando all’interprete di ricercarne gli elementi, se del caso ricostruendo una connessione logica tra i plurimi argomenti confusamente dedotti.
1.3 Il Collegio, sulla base delle considerazioni che precedono, intende dare continuità al seguente principio di diritto: In tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato dall’art. 3, comma 2, del c.p.a., esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c. (ex plurimis Sez. 5, Ord. n. 8009 del 2019).
Per le ragioni esposte il ricorso va dichiarato inammissibile; con conseguente assorbimento degli altri profili di inammissibilità. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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