L’art. 2050 c.c. è intitolato “Rsponsabilità per l’esercizio di attività pericolose” e stabilisce:
Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, e tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.
L’attore pertanto avrà l’onere di provare:
- l’evento dannoso;
- la natura pericolosa dell’attività esercitata;
- il nesso di causalità tra attività pericolosa e evento dannoso;
- il nesso di causalità tra evento dannoso e danno.
Il convenuto avrà invece l’onere di provare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.
E’ bene evidenziare che la natura pericolosa dell’attività esercitata non ha alcuna influenza sul nesso di causalità tra attività ed evento che, pertanto, dovrà essere rigorosamente provato dall’attore.
Vediamo questo esempio. Dopo l’esecuzione di un impianto elettrico in una abitazione, a distanza di una settimana scoppia un incendio. I proprietari citano l’elettricista. Avranno l’onere di provare:
- l’evento dannoso (l’incendio)
- la natura pericolosa dell’attività (impiantistica elettrica)
- il nesso tra l’esecuzione dell’impianto e l’incendio;
- il nesso tra incendio e danni.
Il convenuto, dopo che l’attore avrà assolto i propri oneri, dovrà dimostrare di avere adottato tutte le misure per evitare il danno.
Nel caso analogo deciso dalla Suprema Corte, però, per i giudici non era stato dimostrato che l’incendio fosse stato provocato dall’esecuzione dell’impianto elettrico. Per tale motivo hanno rigettato la domanda. La Corte ha ricordato come la presunzione di responsabilità non può esonerare l’attore dall’onere della prova del nesso di causalità.
Cassazione civile sez. II, 09 marzo 2006, n. 5080
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
M., F. e R.R., nonchè M.A., con atto di citazione notificato il 15 novembre 1988, convennero la Impianti Elettrici Omega di Marcato Giuseppe e C. s.n.c. innanzi al tribunale di Bassano del Grappa per sentirla condannare a risarcire loro i danni, in corso di giudizio quantificati in L. 105.540.000, che assumevano di avere subito a causa di un incendio che aveva devastata la loro cosa di abitazione e che era stato determinato da imperizia ed imprudenza della convenuta nella installazione dell’impianto elettrico della mansarda della abitazione.
Esposero gli attori che entrambe le possibili fonti di innesco ipotizzate dal C.T.U. in sede di accertamento tecnico preventivo consentivano di attribuire, con certezza, alla convenuto la responsabilità dell’incendio.
La convenuta resistè alla domanda, chiedendone il rigetto siccome infondato ed, adducendo di avere eseguito l’opera in conformità alle prescrizioni del direttore dei lavori, Arch. L.C., chiese ed ottenne di chiamarlo in causa unitamente alla S.A.I. – Soc. di Assicurazione Industriale s.p.a., proprio assicuratore contro il rischio di responsabilità civile. Propose, inoltre, domanda riconvenzionale volta al pagamento del saldo del corrispettivo dell’appalto nella misura di L. 29.589.000. La S.A.I. oppose: a) l’inoperatività della copertura assicurativa per essersi, l’incendio, verificato dopo l’ultimazione dei lavori; b) la mancanza di responsabilità dell’assicurata; c) il limite del massimale della polizza, pari a L. 50.000.000. Intervenne volontariamente in causa la Assicurazioni Generali s.p.a. per esercitare, nei confronti della convenuta, l’azione di surrogazione per l’indennizzo di L. 21.158.000 corrisposto agli attori in dipendenza del sinistro.
L’adito tribunale rigettò la domanda principale e, quindi, quella proposta dalla Assicurazioni Generali s.p.a. ed accolse la riconvenzionale, condannando gli attori a versare alla convenuta la somma di L. 29.589.000 con gli interessi al tasso medio del 10% annuo dalla domanda al saldo.
La decisione del tribunale, impugnata, con appello principale, dai consorti R./ M. e, con appelli incidentali, dalla convenuta, trasformatasi in Omega Impianti Elettrici s.r.l., e dalla Assicurazioni Generali s.p.a., è stata confermata, con sentenza resa in data 19 settembre 2001, dalla Corte d’appello di Venezia.
Ha osservato il giudice d’appello che non v’era prova certa che le modalità di innesco dell’incendio corrispondessero a quelle sostenute dagli appellanti, secondo cui, poichè la lampada pendeva all’altezza del viso per chi si fosse diretto verso il bagno della mansarda, era facilmente prevedibile l’eventualità che taluno potesse esseri indotta a sollevarla, adagiandola sul soprastante trave del coperto. Tali modalità erano state solo ipotizzate come le più probabili dalla C.T.U. tra le varie ipotizzagli.
Peraltro, ad avviso della corte di merito, non poteva configurarsi a carico dell’appaltatore l’obbligo di conferire all’opera caratteristiche idonee ad impedirne un uso dissennato o imprudente. A tali rilievi andava aggiunta la considerazione che l’incendio si era verificato a distanza di alcune settimane dal completamento dell’opera.
Sicchè, anche con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 2050 cod. civ., l’evento verificatosi andava ricollegato ad un fattore causale successivo, dotato di autonoma efficienza eziologica, piuttosto che ai rischi normalmente all’attività svolta dalla convenuta.
Tali considerazioni, secondo la Corte d’appello, riguardando l’esistenza stessa del vizio e la causa dell’incendio, assorbivano la censura degli attori, secondo cui la presa in consegna dell’opera da parte dei committenti non equivaleva ad accettazione della stessa.
Quanto alla domanda riconvenzionale, il giudice di appello ha ritenuto che il credito dell’appaltatrice fosse maturato per esservi stata consegna dell’opera e per averla gli appaltanti ricevuta senza esprimere riserve, per cui, ai sensi dell’art. 1655 cod. civ., comma 4, l’opera doveva essere considerata accettata.
Tale rilievo consentiva di escludere, altresì, l’applicabilità della norma di cui all’art. 1673 cod. civ., che pone a carico dell’appaltatore, che abbia fornito la materia, il rischio del perimento o deterioramento dell’opera che si verifichi prima dell’accettazione da parte del committente e durante il periodo di mora dello stesso nel verificare l’opera.
Per la cassazione di tale sentenza ricorrono M., F. e R.R., nonchè M.A., affidandosi a nove motivi.
Degli intimati svolge attività difensiva solo la Assicurazioni Generali s..p.a., che, a sua volta, propone ricorso incidentale in base a due motivi.
V’è memoria difensiva per le ricorrenti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Pregiudizialmente, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., i due ricorsi vanno riuniti, essendo stati proposti avverso una stessa sentenza.
Col primo motivo i ricorrenti principali censurano la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1665, 1667, 1668,1673,2697, 2727 cod. civ., artt. 112, 115, 116 cod. proc. civ. nonchè per omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, adducendo che la Corte d’appello, nel dedurre dalla sola ultimandone dei lavori che l’opera era già passata nella materiale disponibilità del committente, ha disatteso il principio secondo cui la semplice dismissione dell’opus da parte dell’appaltatore a lavori ultimati non implica, di per sè, la traditio che, invece, comporta una consapevole ed attiva partecipazione di entrambi i contraenti. Tanto meno dall’ultimaazione dell’opera può inferirsi la sua accettazione da parte del committente. Peraltro, soggiungono i ricorrenti, ponendo a loro carico l’onere di provare che l’accettazione era avvenuta con riserva, la sentenza impugnata inverte l’onere della prova, poichè detto onere presupponeva la prova, mancante e gravante sull’appaltatore, dell’avvenuta accettazione dell’opera. Nè poteva ritenersi legittimo il ricorso alla presunzione per ritenere che il committente non avesse mai dismesso il possesso dell’immobile, sia perchè risultava pacifico che il rifacimento dell’impianto elettrico era stato disposto nel contesto della ristrutturazione del piano mansarda, sicchè i committenti non potevano affatto considerarsi nel possesso del cantiere, sia perchè il giudice d’appello non indica le fonti di prova dalle quali trae tale convincimento, sia, infine, perchè la presunzione è viziata da illogicità, essendo stata tratta dal mero rilievo dell’accessorietà dei lavori di rifacimento dell’impianto elettrico e non comprendendosi come si potesse abitare la mansarda priva di impianto elettrico e durante i lavori stessi.
I ricorrenti concludono la censura, osservando che, non essendo avvenuta ancora la consegna dell’opera al momento dell’incendio, la ritenuta incertezza nelle cause dell’incendio rileva, non già in danno dei coniugi R., bensì in danno dell’appaltatile ai sensi degli artt. 1218, 1177, 1667,1668 e 1673 cod. civ..
L’evidente collegamento logico – giuridico consiglia di esaminare il motivo esposto congiuntamente al primo motivo del ricorso incidentale, col quale la Assicurazioni Generali s.p.a., denunciando gli stessi vizi, osserva in particolare, che la sentenza impugnata confonde i concetti di ultimazione, consegna ed accettazione dell’opera, concetti che, invece, hanno, ciascuno, una propria autonomia. Inoltre, la ricorrente rileva che, poichè, ai sensi dell’art. 1665 cod. civ., l’opera si considera accettata se il committente, pur invitato trascura di procedere alla verifica dell’opera senza giusti motivi e se riceve la consegna dell’opera senza riserve, l’appaltatrice avrebbe dovuto provare sia di aver consegnato l’opera sia di aver invitato i committenti ad operare la verifica. Le censure sono inammissibili.
Nell’esaminare il secondo motivo dell’appello principale, col quale i coniugi R.- M. rilevavano che la presa in consegna dell’opera da parte del committente non equivale ad accettazione della stessa, la Corte d’appello ha, tra l’altro, osservato che detto motivo scaturiva “da una lettura non attenta della motivazione sviluppata a sostegno della decisione gravata: in tutta evidenza la circostanza che l’opera commissionata all’appellata fosse stata completata e consegnata al committente qualche settimana prima dell’accadimento del fatto per cui è processo, venne dal primo giudice valorizzata non già in quanto preclusiva dell’azione di garanzia per i vizi dell’opera sibbene come ostativa alla configurabilità, in capo all’appaltatore, di una responsabilità da custodia; in altri, più diretti, termini, il primo giudice valorizzò la circostanza in questione al solo fine di escludere che l’incertezza in ordine all’origine dell’incendio potesse essere fatto ridondare a carico della convenuta”.
A fronte di tale motivazione, i ricorrenti principali, ribadendo la censura svolta col secondo motivo di appello, chiariscono nella parte conclusiva del motivo in esame che dalla censura svolta deriva che la ritenuta incertezza sulle cause dell’incendio rileva, non già in danno dei coniugi R., bensì in danno dell’appaltatrice ai sensi degli artt. 1218, 1177, 1667, 1668 e 1673 cod. civ..
E’, dunque, evidente, anche in considerazione del richiamo agli artt. 1177 e 1673 cod. civ., che i ricorrenti ripropongono la censura in questa sede per sottoporre a critica la tesi, fatta propria dal primo giudice ma non censurata in sede di appello, che l’incertezza circa la causa dell’incendio non poteva risolversi in danno dell’appaltatrice, in considerazione dell’accertata consegna dell’opera. In tal modo, però, omettono di considerare che il rilievo operato dal giudice d’appello si risolveva sostanzialmente in una statuizione d’inammissibilità della censura, in quanto rivolta nei confronti di una ratio decidendi diversa da quella effettivamente posta a base della decisione, con la conseguenza che la statuizione d’inammissibilità, non essendo stata censurata, deve considerarsi costituire giudicato interno, che preclude la possibilità di esame della questione sotto il diverso profilo ora prospettato. Vero è che in altra parte della motivazione la sentenza impugnata si occupa della questione della consegna e della accettazione dell’opera ma lo fa, esaminando il quarto motivo di appello, per escludere che i committenti potessero considerare esonerati, ai sensi dell’art. 1673 cod. civ., dall’obbligo di versare il saldo del corrispettivo dell’appalto.
Quanto, poi, della censura svolta dalla ricorrente incidentale, Assicurazioni Generale s.p.a., sarà sufficiente rilevare che, come già correttamente osservato dalla corte di merito, la loro censura si fonda su due presupposti (l’individuazione dell’innesco dell’incendio sul surriscaldamento provocato dall’appoggio della lampada sulla trave del soffitto del vano adibito a bagno e la configurabilità come vizio dell’opera delle caratteristiche del punto luce installato nel medesimo vano) che, come si vedrà esaminando le ultime censure, sono stati correttamente esclusi dalla sentenza impugnata.
Giova, comunque, rimarcare l’assoluta marginalità, nel quadro della complessa motivazione resa dal giudice d’appello, della valorizzazione della circostanza che l’evento dannoso si era verificato a distanza di alcune settimane dalla consegna dell’opera.
Col secondo motivo i ricorrenti principali denunciavano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218 e s.s., artt. 1223, 1453 e s.s., 1668 cod. civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, adducendo che la sentenza impugnata si rileva contraddittoria laddove, pur ritenendo ultimati i lavori, attribuisce rilievo al carattere (provvisorio) dell’installazione del punto luce per escludere la responsabilità dell’appaltatrice, perchè, se i lavori dovevano considerarsi ultimati ad onta della “provvisorietà” della soluzione adottata con riferimento a quel punto luce, non si poteva negare che la pericolosità della soluzione adottata costituisse vizio dell’opera.
In ogni caso, ad avviso dei ricorrenti, la responsabilità dell’appaltatrice sussisterebbe per inadempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto.
Ed, al riguardo, non varrebbe addurre la impossibilità di configurare, a carico, dell’appaltatrice, un obbligo di conferire all’opera caratteristiche tali da impedirne un uso dissennato o imprudente, poichè, in tal modo, si violerebbe il principio, discendente dall’art. 1460 cod. civ., che fa obbligo di realizzare l’opera a perfetta regola d’arte e la motivazione si rivelerebbe illogica. Peraltro, nella specifica materia, risulterebbero violate le disposizioni dettate dalla L. n. 186 del 1968, artt. 1 e 2. Col terzo motivo i ricorrenti principali si dolgono di violazione e/o falsa applicazione degliartt. 1177, 1218, 1655, 1665 e 2697 cod. civ. nonchè di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che a causa dell’erronea statuizione concernente l’avvenuta consegna dell’opera, la Corte di merito ha tratto altrettanto erronea conseguenza in tema di onere della prova. Invero, ad avviso dei ricorrenti, poichè ai sensi dell’art. 1177 cod. civ., l’obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella di custodirla fino alla consegna e poichè dall’art. 1588 cod. civ. èdesumibile il principio secondo cui l’obbligo di custodire una cosa determinata dà luogo a responsabilità, dell’obbligato, nel caso di incendio della cosa salvo che lo stesso provi il caso fortuito, da tali principi e dalla presunzione di responsabilità del debitore ex art. 1218 cod. civ. discendeva che l’appaltatrice avrebbe dovuto provare che la causa dell’incendio non era lui ascrivibile, non giacchè dovesserò gli attori provare che l’incendio era ascrivibile a fatto della Omega, come erroneamente ritenuto dalla Corte d’appello.
Col quarto motivo i ricorrenti principali denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 40 e 41 cod. pen., artt. 115 e 116 cod. proc. civ.nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, osservando che la sentenza impugnata, pur dando atto che la causa indicata dal C.T.U. “appariva tra le più probabili”, ha ritenuto che non si poteva ritenere certa l’origine dell’incendio, essendo ipotizzagli anche altre cause. Tale conclusione, ad avviso dei ricorrenti, sarebbero viziate dalla violazione dei principi in materia di causalità scientifica nonchè da contraddittorietà e da insufficiente motivazione essendo noto il principio che per la istituzione del messo causale occorre che l’evento sia riconducibile, secondo leggi scientifiche, alla causa ipotizzata, non già in termini di certezza e neppure di possibilità, ma in termini di probabilità, o, secondo quanto più spesso si afferma, in termini di elevato grado di probabilità, E nella specie, secondo il C.T.U., non solo erano da escludersi cause diverse da quella ipotizzata, ma poteva ritenersi con certezza che l’incendio era scaturito dal contatto prolungato col bulbo della lampadina ad incandescenza.
Col quinto motivo i ricorrenti principali censurano la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1223 cod. civ., artt. 40 e 41 cod. pen. nonchè per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, rilevando che erroneamente il giudice d’appello ha ritenuto che la collocazione della lampadina penzoloni costituisse, non già causa, bensì mera occasione dell’evento dannoso, poichè, per giungere alla conclusione che l’incendio era stato determinato, non dalla struttura realizzata dalla convenuta, ma dal gesto scriteriato di persona non individuata, avrebbe dovuto accertare che l’evento si sarebbe ugualmente verificato senza l’antecedente costituito dalla installazione in modo pericoloso del punto luce.
Col sesto motivo i ricorrenti principali denunciano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2050 cod. civ. nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, adducendo che, nell’esonerare da responsabilità Omega sulla base del rilievo per cui la causa diretta dell’incendio sarebbe stato il “gesto scriteriato di persona non individuata”, ha omesso di tenere presente la decisiva deposizione del teste Z., il quale aveva riferito che la lampadina si trovava ad una trentina di centimetri dalla trave, sicchè colui che era diretto al vano bagno, finiva per trovarsela di fronte al viso.
Ad avviso dei ricorrenti, quanto riferito dal teste escludeva l’imprevedibilità del fatto che qualcuno potesse spostare la lampadina senza che la riservatezza di un gesto siffatto lo rendeva meno prevedibile; chè anzi, proprio la concreta situazione, costituita dalla presenza nella mansarda anche di dipendenti di ditte diverse della Omega, rendeva ancor più pericolosa la condotta della stessa appaltatrice.
Da ultimo, i ricorrenti rimarcano l’irrilevanza della circostanza che l’incendio fosse scoppiato ad alcune settimane di distanza dall’ultimazione dei lavori, dal momento che esso aveva, comunque, il proprio antecedente necessario nell’installazione a penzoloni della lampadina.
Il secondo motivo del ricorso incidentale va esaminato contestualmente ai motivi ora esposti del ricorso principale, poichè anch’esso ha ad oggetto le cause dell’incendio.
La ricorrente incidentale, dolendosi di omesso esame di circostanze decisive nonchè di violazione degli artt. 1218, 1665, 2697 e 1223 cod. civ.,artt. 40 e 41 cod. pen., osserva che la sentenza impugnata disattende emergenze istruttorie che provano in maniera certa che l’incendio si era propagato dal punto luce del servizio mansarda, ed inoltre, viola consolidati principi in tema di nesso di casualità.
All’uopo, rileva che dagli atti emergeva in modo pacifico che il punto luce, provvisorio, era stato installato senza l’adozione delle provvidenza e degli accorgimenti idonei ad evitare il pericolo dell’incendio e contesta che il gesto ipotizzato dal C.T.U. potesse qualificarsi come “uso dissennato o imprudente”.
Quanto alla prova che le modalità d’innesco dell’incendio fossero quelle sostenute dagli appellanti, la ricorrente richiama le conclusione del C.T.U., che escludono ogni altra ipotesi, e la deposizione del teste Z..
Ritiene questa Corte che tutte le censure esposte debbano essere disattese, ritenendo, in parte, infondate ed, in parte, inammissibili.
L’argomento centrale e decisivo, sul quale si fonda la sentenza impugnata, è costituito dal rilievo che manca la prova certa sulla causa dell’incendio, avendo, il giudice d’appello, ritenuto, che la causa prospettata dagli appellanti fosse solo la più probabile tra le varie cause ipotizzabili.
Tale rilievo, essendo fondato sulle conclusioni del C.T.U. e non trovando smentita nella deposizione del teste Z., sulla quale soprattutto i ricorrenti fanno affidamento (la circostanza dell’installazione “a penzoloni” della lampadina non esclude, invero, che le modalità d’innesco dell’incendio siano state diverse dallo spostamento estemporaneo del portalampada sull’estradosso una trave della copertura della mansarda), è stato correttamente ritenuto risolutivo dalla corte di merito ed il tentativo dei ricorrenti di sindacare sul punto la motivazione incontra l’ostacolo dell’inammissibilità, correlato ai limiti del sindacato esercitato dal giudice di legittimità.
Esso, condiziona, altresì, la risposta di questa Corte ai quesiti che le varie censure dei ricorrenti pongono.
Sotto il profilo strettamente giuridico e con specifico riferimento alla violazione dei principi e delle norme che regolano il nesso di causalità, si deve, invero, osservare che la mancanza di certezza sulla causa d’innesco dell’incendio che i ricorrenti ascrivono a responsabilità dell’appaltatrice, da un canto rende irrilevante ogni censura volta ad evidenziare, sulla base del principio della regolarità causale, che il “gesto scriteriato” della persona non individuata non può essere considerato idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta dell’appaltatrice e l’evento, attesa, comunque, la pericolosita oggettiva della soluzione “provvisoria” adottata dal impresa Omega, dall’altro priva del necessario presupposto di fatto l’applicabilità della giurisprudenza che non esclude il nesso eziologico a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, essendo evidente l’impraticabilità di siffatto criterio quando, come nel caso in esame, sia incerta in fatto l’esistenza stessa della condotta colposa ascritta all’agente.
Resta pure superato il rilievo critico fondato sulla dedotta responsabilità ex art. 2050 cod. civ., correttamente esclusa dalla Corte d’appello, poichè la responsabilità presunta commessa esercizio di attività pericolose richiede, pur sempre, l’assolvimento, da parte del danneggiato, dell’onere di dimostrare l’esistenza del nesso causale tra l’attività pericolosa e il danno, non potendo il soggetto agente essere investito da una presunzione di responsabilità rispetto ad un evento che non è ad esso in alcun modo riconducibile (cfr. Cass., 2 aprile 2001, n. 4792).
Inammissibile, deve, poi, ritenersi la censura che fa leva sulla responsabilità ex contractu dell’appaltatrice, al riguardo dovendosi ribadire il rilievo svolto sub 1 con riferimento alla responsabilità da custodia ed aggiungendosi che, come rilevato dal giudice d’appello, il terzo motivo degli appellanti, che a tale responsabilità faceva richiamo, era essenzialmente fondato “sull’affermazione dell’esperibilità dell’azione di risarcimento del danno conseguente all’inadempimento indipendentemente da quella di risoluzione”.
Trattasi di questione processuale distinta da quelle, di diritto sostanziale, posta in questa sede, che, pertanto, risultano inammissibili, poichè nuove. Col settimo motivo, i ricorrenti principali denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 1665 e 1673 cod. civ. nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, adducendo che, in virtù delle considerazioni svolte col primo motivo del ricorso e ritenuto che l’obbligazione del committente di pagare il corrispettivo dell’appalto sorge solo con l’accettazione dell’opera, a nulla rilevando che l’appaltatore abbia messo a disposizione il risultato della sua prestazione, la sentenza impugnata non avrebbe potuto accogliere la domanda riconvenzionale.
La censura va disattesa.
Non risponde al vero, in primo luogo, che la corte di merito abbia assimilato o confuso i concetti di ultimazione dei lavori, consegna dell’opera e accettazione dell’opera, poichè la statuizione adottata sulla domanda riconvenzionale si fonda proprio sul principio, richiamato dai ricorrenti, secondo cui il diritto dell’appaltatore al corrispettivo sorge al momento dell’accettazione dell’opera da parte del committente (art. 1665 cod. civ., u.c.), con la precisazione, che nella specie l’opera doveva ritenersi accettata, avendola, i committenti, ricevuta senza riserve (art. 1665 cod. civ., comma 4).
La motivazione resa a fondamento della ritenuta accettazione tacita, basata sul non irragionevole rilievo della natura dei lavori e sulla non avvenuta dismissione del possesso dell’immobile da parte dei committenti, si rivela congrua e priva delle aporie denunciate dai ricorrenti, per cui si sottrae alla possibilità di sindacato in questa sede.
L’incensurabilità della motivazione in ordine alla conga ed all’accettazione dell’opera consente, altresì, di superare il rilievo sull’onere della prova circa la manifestazione di riserve da parte dei committenti, poichè, una volta ritenuta consegnata e accettata l’opera, correttamente il giudice d’appello ha osservato che l’onere di fornire la prova della formulazione di riserve incombeva sui committenti. Con l’ottavo motivo i ricorrenti principali censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2697 cod. civ. nonchè, per omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, rilevando che la Corte d’appello ha omesso qualsivoglia motivazione quinto motivo d’appello col quale si denuncia che il tribunale aveva erroneamente ritenuto non contestato il credito per il saldo del corrispettivo dedotto in giudizio dall’appaltatrice, poichè essi ricorrenti avevano, al riguardo, rilevato in appello, col quinto motivo, il difetto di prova già eccepito in primo grado sul rilievo dell’inidoneità delle fatture prodotte ex adverso a dimostrare l’esecuzione delle prestazioni e l’ammontare del credito.
La censura è fondata, poichè la sentenza impugnata, pur dando atto ch’egli appellanti principali col quinto motivo censuravano raccoglimento della domanda riconvenzionale anche sotto il profilo del difetto di prova in considerazione dell’inidoneità delle contestate fatture a documentare l’esecuzione delle prestazioni e l’ammontare del saldo richiesto, ha poi del tutto trascurato di rendere motivazione al riguardo, confermando sic et simpliciter la statuizione impugnata.
Evidente, dunque, l’esistenza del denunciato vizio di omessa motivazione.
Col nono motivo i ricorrenti principali denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 106 cod. proc. civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia, adducendo che erroneamente la sentenza impugnata li ha condannati al rimborso delle spese processuali sostenute dalla S.A.I., terzo chiamato in causa, a garanzia, della convenuta, sia perchè alla correzione della sentenza con riferimento al rigetto della domanda proposta nei confronti della convenuta segue necessariamente la correzione delle statuizioni relative alle spese sostenute, oltre che dalla convenuta, anche dal terzo chiamato in causa, sia perchè la sentenza impugnata non considera che, secondo la corretta prospettazione della stessa S.A.I., la polizza non era operativa nel caso in esame, coprendo solo i sinistri che si fossero verificati nel corso dei lavori, sicchè la chiamata in causa della S.A.I. non era giustificata.
La censura è fondata.
Indubbiamente corretto deve ritenersi il principio di diritto, da cui parte la statuizione impugnata, secondo cui l’attore è tenuto a rimborsare le spese anche al terzo chiamato in garanzia quando la sua domanda sia stata rigettata nei confronti del convenuto che abbia operata la chiamata in causa del terzo.
Ma nel caso concreto di tale principio è stata fatta impropria applicazione, avendo, il giudice d’appello, trascurato di considerare che esso è strettamente legato al merito della domanda principale, mentre l’eccezione di inoperatività della polizza sollevata dalla S.A.I., terzo chiamato in causa, attiene esclusivamente al rapporto tra chiamante (la convenuta “Omega”) e chiamata (la S.A.I.), essendo destinata ad operare anche nell’ipotesi di eventuale accoglimento della domanda principale. Pertanto, la corte di merito, al fine di accertare la soccombenza degli attori nei confronti della S.A.I., avrebbe dovuto previamente verificare la fondatezza dell’eccezione di inoperatività della polizza stipulata dalla convenuta con la S.A.I., poichè l’esito eventualmente positivo di tale verifica, evidenziando l’inesistenza del presupposto contrattuale sul quale si fondeva la domanda di garanzia proposta dalla chiamante, avrebbe riversato esclusivamente su quest’ultima la responsabilità della chiamata in causa.
Conclusivamente, del ricorso principale vanno accolti i motivi ottavo e nono e rigettati gli altri; va, altresì, rigettato il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità, limitatamente al rapporto tra ricorrenti principale ed intimata Omega Elettrici s.r.l., ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia, che giudicherà sulla domanda riconvenzionale proposta dalla “Omega” nonchè sulla domanda di rimborso delle spese processuali avanzata dal terzo chiamato in causa S.A.I. – Società di Assicurazione Industriale s.p.a., tenendo conto dei rilievi qui svolti, con riferimento alla domanda riconvenzionale, e del principio di diritto ivi affermato, con riferimento alla domanda di rimborso delle spese processuali proposte dalla S.A.I..
Nonostante il rigetto del ricorso incidentale, alcun provvedimento va adottato sulle spese processuali relative al rapporto tra ricorrente incidentale ed intimata Omega Elettrici s.r.l., poichè quest’ultima non ha svolto attività difensive.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie i motivi ottavo e nono del ricorso principale; rigetta gli altri motivi dello stesso ricorso ed il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, relativamente al rapporto tra ricorrenti principali e l’intimata Omega Elettrici s.r.l., ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 28 gennaio 2005.
Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2006

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Preg,mo Collega,
Ho letto con particolare interesse i Suoi pregevoli rilievi, ma devo dirLe che la sentenza della III Sezione Civile della Corte di Cassazione da Lei citata (la n. 10060 del 24 aprile 2010) si riferisce ad altra e diversa fattispecie, inerente al risarcimento danni da colpa medica.
Si tratta ad ogni evidenza di un mero lapsus calami, per cui Le sarei particolarmente grato se mi comunicasse con cortese urgenza data e il numero esatti dell’arresto giurisprudenziale con cortese urgenza, dovendo richiamarlo in una memoria difensiva che devo depositare nei prossimi giorni.
La ringrazio, e lieto dell’incontro professionale, La saluto cordialmente.
Avv. Guido de Rossi