TRIBUNALE CIVILE DI ANCONA
SEZIONE DISTACCATA DI SENIGALLIA
PER
GIUSEPPINA S. = AVV. MIRCO MINARDI
CONTRO
AVV. FRANCESCO M. = AVV. CARLO B.
COMPARSA CONCLUSIONALE
- 1. L’OGGETTO DEL CONTENDERE.
All’esito di un giudizio civile di primo grado patrocinato dall’Avv. Francesco M. e svoltosi nella contumacia della società convenuta, la sig.ra S. otteneva una sentenza con la quale la convenuta era condannata a risarcirle i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti all’interno di un supermercato denominato “Golia”, pari ad euro 9.693,32 a causa di una caduta provocata da una insidia ivi presente.
Sennonché, dopo alcuni anni emergeva che la società convenuta, individuata dall’Avv. M. come “GOLIA MARKET NOVI S.R.L.”, non era mai esistita, tanto che la sig.ra S. non aveva di fatto ottenuto alcun risarcimento.
Poiché il diritto si è nel frattempo prescritto, e perché ad oggi non vi è più alcuna possibilità di rintracciare la convenuta, la sig.ra S. ha agito per ottenere una sentenza che, da un lato, accerti l’inesistenza del diritto al compenso dell’Avv. M. (da Lui inspiegabilmente richiesto successivamente al presente giudizio davanti al Giudice di pace di Monza), dall’altro, condanni il medesimo a risarcire tutti i danni subiti a causa dell’inadempimento contrattuale.
- 2. I FATTI PACIFICI DI QUESTO PROCEDIMENTO
È anzitutto pacifico tra le parti:
a) Che l’Avv. M. abbia patrocinato, in nome e per conto della sig.ra S. Giuseppa, la causa di risarcimento danni promossa contro la GOLIA MARKET NOVI S.R.L.;
b) Che il Tribunale di Cantù abbia accolto la domanda attorea nei termini indicati in ricorso;
c) Che la società “GOLIA MARKET NOVI S.R.L.” non è mai esistita (si veda, oltre alla non contestazione da parte del convenuto, anche la visura camerale depositata; doc. 8).
d) Che la sig.ra S. abbia ormai perso qualsiasi possibilità di ottenere il risarcimento, in quanto non solo il diritto si è prescritto (trattasi di prescrizione estintiva), ma anche perché non essendovi più da molti anni il supermarket, non è possibile conoscere la sua reale denominazione sociale.
- 3. LA DIFESA DELL’AVV. M.
L’Avv. M. si è difeso affermando:
a) Che il Tribunale di Senigallia non è territorialmente competente;
b) Che durante il rapporto non vi erano mai state contestazioni, essendo queste sorte solo dopo che la pratica era passata allo scrivente difensore;
c) Di avere sempre diligentemente informato la cliente sull’andamento della causa;
d) Che la sig.ra S. non aveva versato alcuna somma a titolo di fondo spese;
e) Di avere ricevuto proprio dalla cliente (tramite il figlio) l’esatta denominazione sociale della società convenuta;
f) Che le diffide stragiudiziali erano state regolarmente recapitate;
g) Che il giudice aveva ritenuto corretta la notifica sia dell’atto di citazione, che dell’ordinanza che ammetteva l’interrogatorio formale del legale rappresentante delle società convenuta;
h) Che a fronte dell’esecuzione infruttuosa l’Avv. M. aveva informato la cliente la quale gli avrebbe detto di sospendere le procedure perché avrebbe incaricato un investigatore privato.
- 4. SULLA ECCEZIONE DI INCOMPETENZA TERRITORIALE
Va anzitutto ri-sottolineato che la giurisprudenza della S.C. è ormai ferma nel ritenere che “In tema di competenza per territorio, qualora un avvocato abbia agito, con il procedimento di ingiunzione, al fine di ottenere, dal proprio cliente, il pagamento di competenze professionali avvalendosi del foro speciale di cui all’art. 637, comma 3, c.p.c., il rapporto tra quest’ultimo e il foro speciale della residenza o del domicilio del consumatore, previsto dall’art. 33, comma 2, lett. u), d.lg. 206/2005, va risolto nel senso della prevalenza del foro del consumatore, sia perché esso è esclusivo sia perché, trattandosi di due previsioni speciali, la norma successiva ha una portata limitatrice di quella precedente”, Cassazione civile, sez. VI, 16/02/2012, n. 2270.
In altre parole, il foro del consumatore prevale non solo sul foro ordinario ma addirittura sul foro speciale previsto dall’art. 637 c.p.c.!!!
E ancora: “In tema di competenza per territorio nel procedimento di ingiunzione proposto da un avvocato nei confronti del proprio cliente per il pagamento di onorari professionali, qualora detto cliente sia un lavoratore subordinato (nella specie, pubblico dipendente), il medesimo non perde la propria qualità di « consumatore », ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a, d. lgs. 6 settembre 2005 n. 206, per il fatto di essersi avvalso dell’opera dell’avvocato per questioni relative alla propria attività lavorativa in quanto l’attività di lavoro subordinato non è qualificabile come attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale; sicché a tale controversia si applicano le regole in tema di foro del consumatore di cui all’art. 33, comma 2, lett. u, d. lgs. n. 206 del 2005”, Cassazione civile, sez. III, 09/06/2011, n. 12685
Non solo. Detta competenza, sempre secondo la Cassazione (sent. 24257/2008), si determina in base al luogo di residenza del consumatore al momento della presentazione della domanda giudiziale, a meno che il trasferimento sia fittizio oppure strumentale (fattispecie resa in un caso in cui il Professionista era proprio un avvocato):
“- Il ricorrente nella memoria torna a prospettare come unica possibile interpretazione della norma dettata dall’art. 33 lett. u) del Codice del consumo, quella che la residenza del consumatore, cui la disposizione si riferisce, è la residenza che egli aveva al momento della conclusione del contratto.
La corte non condivide questa impostazione.
2. – L’interpretazione proposta dal ricorrente elegge a criterio di collegamento della competenza un fatto diverso da quello che la norma indica.
Mentre la residenza che il consumatore ha nel momento in cui è convenuto in giudizio è criterio che riflette in modo razionale la esigenza che il consumatore si possa difendere con il minor costo possibile, l’ancoraggio della residenza al tempo della conclusione del contratto delinea un criterio di collegamento che non risponde all’esigenza della miglior difesa del consumatore, ma del rendere prevedibile da parte del professionista il costo di un eventuale contenzioso.
Non è fondato opporre a tale osservazione la replica che al consumatore si viene a consentire di mutare in modo continuo la residenza come anche di eleggere un domicilio sempre nuovo per evitare che il giudizio si possa radicare in un luogo definito.
Ad un rinnovato mutamento di residenza, anche se effettivo, andrebbe negata rilevanza dal giudice adito in base alla residenza precedente, perchè alle parti non è consentito abusare dei mezzi di difesa (art. 88 cod. proc. civ.) (Sez. Un. 15 novembre 2007 n. 23726).
E’ il domicilio eletto nel contratto, che radica la competenza (se si tratta d’un domicilio scelto dal consumatore, che, altrimenti, si prospetterebbe il controllo sulla vessatorietà della clausola) e perciò il consumatore non è in grado di spostarlo utilmente.
Nè è conducente nel caso il richiamo alla interpretazione che si è affermata a proposito dell’art. 413 cod. proc. civ., comma 4.
L’ancoraggio temporale al domicilio, che le figure indicate nella norma avevano quando è sorto il rapporto da cui poi nasce la lite, è consentaneo alla natura continuativa di quei rapporti e da rilievo alla prossimità tra i fatti che ne hanno caratterizzato lo svolgimento ed il giudice individuato dal criterio di collegamento indicato dalla norma.
Invece, i contatti tra consumatore e professionista sono occasionati da momentanee esigenze od opportunità e la circostanza di dove il consumatore risiedesse al momento della conclusione del contratto non esprime un altrettale nesso di prossimità tra giudice e svolgimento del rapporto (nesso di prossimità, quello del luogo di conclusione del contratto, al quale, rispetto ai contratti del consumatore, è negata rilevanza di criterio di collegamento).
3. – L’attuale ricorrente non ha fornito elementi idonei a far ritenere – anche se nel quadro di una valutazione delibativa, quale prevista dall’art. 38 cod. proc. civ., u.c., – che lo spostamento di residenza della convenuta sia stato fittizio o reiterato e quindi abusivo”.
Controparte si è difesa allegando che lo spostamento della residenza è stato strumentale e solo preordinato a radicare la competenza a Senigallia (!). Ci chiediamo: perché?
Secondo la prospettazione avversaria, a dir poco fantasiosa, la sig.ra S. si sarebbe trasferita a Senigallia solo per evitare la competenza di un giudice lombardo!!! Quindi avrebbe concluso un contratto di affitto, stipulato contratti di fornitura di servizi e sottopostasi ad un trasloco solo perché temeva una causa di poco più di 4.000 euro dall’Avv. M.!!!
Francamente si rimane basiti di fronte a certe argomentazioni.
È già stato (al contrario) allegato che:
a) I coniugi C.-S. hanno raggiunto i loro figli che ormai da molti anni si sono trasferiti nelle Marche; essi erano rimasti soli in Lombardia e stante l’età avanzata hanno deciso di avvicinarsi a loro;
b) La contestazione dell’operato dell’Avv. M. è avvenuta in seguito al trasferimento, solo perché a Senigallia essi si sono rivolti al sottoscritto per verificare la possibilità di agire esecutivamente contro la debitrice, il quale ha scoperto che la società convenuta era inesistente!!! È ovvio che prima non è stato contestato nulla, in quanto essi non sapevano dell’inadempimento, né l’Avv. M. si era fatto sfuggire di avere promosso una causa contro un “fantasma”!!! Dunque le accuse di mala fede e scorrettezza rivolte dalla difesa avversaria sono destituite del benché minimo fondamento!
- 5. LE ALTRE DIFESE DELL’AVV. M.
Occorre anzitutto sgombrare il campo da alcuni equivoci ed argomenti irrilevanti.
Nel presente giudizio si addebita all’Avv. M. di non avere verificato attraverso una semplice visura camerale l’esatta denominazione sociale della società convenuta e pertanto di avere coltivato un giudizio del tutto inutile, in quanto la sentenza è inutiliter data e il diritto prescritto.
Questi sono dunque gli addebiti mossi al legale. Se ciò è vero, appaiono del tutto irrilevanti alcune questioni sollevate dall’Avv. M. quali:
– Il fatto che durante il rapporto professionale l’Avv. M. non aveva ricevuto mai contestazioni (ovvio, perché la sig.ra S. ha scoperto l’inadempimento solo dopo aver incaricato lo scrivente avvocato);
– Il fatto di avere sempre informato la cliente sull’andamento della causa (non è questo ciò che gli si contesta);
– Il fatto di non avere ricevuto un fondo spese (perché non lo ha chiesto? E comunque ciò non significa che l’avvocato possa introdurre un giudizio inutile in partenza!!!).
Come si vede, quelle sopra illustrate sono tutte questioni irrilevanti ai fini del decidere.
In questo giudizio, le questioni fondamentali sono invece queste:
– Costituisce compito rientrante nella diligenza dell’avvocato effettuare una visura camerale per accertarsi dell’esatta denominazione di una società convenuta in giudizio?
– Anche qualora il nominativo della società convenuta sia stato fornito dal cliente, costituisce dovere dell’avvocato diligente verificare la correttezza della informazione?
Ora, come si possa rispondere negativamente a queste domande appare difficilmente comprensibile. In buona sostanza l’assunto difensivo dell’Avv. M. è questo:
– un avvocato non è tenuto a verificare le informazioni ricevute dal cliente (!!!);
– un avvocato non ha il dovere di accertare la legittimazione passiva del convenuto (!!!).
Ci chiediamo: se non lo deve fare l’avvocato, chi lo deve fare? Il cliente? È un po’ come se un medico si giustificasse dicendo che l’errore nella cura è attribuibile al cliente che si era fatto un’autodiagnosi sbagliata. Il medico (come l’avvocato) non può basare la cura senza una sua diagnosi, a prescindere dalle conclusioni cui è giunto il paziente.
L’avvocato è un professionista iscritto ad un albo. Salvo casi eccezionali, la parte non può agire e difendersi in giudizio da sé, ma deve necessariamente avvalersi della sua assistenza.
L’avvocato ha numerosi obblighi:
a) Deve informare il cliente della fattibilità o meno dell’azione giudiziaria e della probabilità di vittoria e sconfitta;
b) Deve verificare le informazioni ricevute dal cliente;
c) Deve condurre diligentemente il processo, dall’inizio alla fine e poi nella fase esecutiva (individuare il giudice competente; individuare la legittimazione attiva e passiva; predisporre un atto corretto; notificarlo alle persone e nei luoghi esatti; iscrivere la causa nei termini stabiliti; partecipare alle udienze; depositare le memorie nei termini fissati dal giudice; citare i testimoni; depositare le comparse conclusionali; ecc.);
d) Deve proteggere il cliente, nel senso che deve impedire che il cliente possa subire danni che possano essere evitati (ad esempio interrompere la prescrizione o impedire una decadenza).
Questi, solo per citarne alcuni. Nel caso di specie, per potere mandare assolto l’Avv. M., occorrerebbe sostenere, come abbiamo già detto, che non costituisce obbligo dell’avvocato verificare l’esatta denominazione del legittimato passivo!!!
Dunque, ammesso (e assolutamente non concesso) che l’Avv. M. abbia ricevuto la denominazione sociale dalla cliente, costituiva suo onere verificare la correttezza dell’informazione attraverso una banalissima visura camerale.
Ma la prova che quanto affermato dall’Avv. M. e dai suoi testimoni non corrisponde al vero, si ricava dal fatto che nella denuncia di sinistro consegnata all’Avv. M. si parla semplicemente del supermercato “Golia” e non del GOLIA MARKET NOVI S.R.L.!!!
L’Avv. M., come abbiamo visto, si difende allegando anche la circostanza che il giudice aveva ritenuto corretta la notifica. Si tratta anche questa di una argomentazione infondata. Difatti il giudice ha semplicemente verificato la correttezza formale dell’avviso di ricevimento!!! Nulla può sapere il giudice se il convenuto contumace sia realmente esistente oppure no, come nel caso di specie. Se io notifico un atto di citazione ad una persona deceduta e questa viene ritirata da un familiare, non per questo la vocatio in jus è valida!!!
La relata di notifica fatta dall’agente postale o dall’Ufficiale Giudiziario non può (evidentemente) “dare vita” ad una società che non esiste!!!
È assai probabile – come già allegato – che la società convenuta non si sia costituita per la semplice ragione che la denominazione legale era completamente sbagliata, e dunque contava sul fatto che in caso di soccombenza il titolo esecutivo (ovviamente) non sarebbe mai stato portato in esecuzione.
Come pure è del tutto irrilevante che la raccomandata sia stata ricevuta dal destinatario. Probabilmente, leggendo “Golia Market” il firmatario (verosimilmente un dipendente) non ha avuto dubbi sul fatto che la missiva fosse indirizzata alla ditta/società ivi operante. Diverso, però, è stato quando è arrivata la citazione. Lì, con tutta probabilità, la convenuta, tramite il suo legale, ha capito che vi era un errore nella denominazione sociale e dunque ha verosimilmente preferito non costituirsi per non sanare l’errore.
Ma ciò che sorprende nel comportamento dell’Avv. M. è che una visura camerale non è stata effettuata nemmeno all’indomani del pignoramento negativo, allorquando l’Ufficiale Giudiziario scrisse: “non è stato possibile procedere al pignoramento perché al domicilio indicato la società debitrice è risultata sconosciuta” (v. doc. 27).
Possibile che nemmeno quella circostanza ha suggerito all’Avv. M. di fare una visura alla camera di commercio!?!?!?
Qualunque avvocato mediamente diligente, di fronte ad un pignoramento negativo con la causale “debitore sconosciuto” si preoccuperebbe di capire che fine ha fatto il debitore. E invece no. Nemmeno in quella circostanza fu fatta una visura camerale, ciò perché, si afferma, i C. dissero di voler incaricare un investigatore privato!!!
Ulteriore (infondato) argomento difensivo di parte convenuta è questo: la pratica, ad un certo punto, era rimasta sospesa, in attesa che i C. ottenessero informazioni da un agente investigativo. Ammesso (e assolutamente non concesso) che questo sia vero ci chiediamo: ciò legittimava l’Avv. M. a non impedire il decorso della prescrizione?!? È la stessa difesa a parlare di “sospensione” e non di revoca, dunque, a tutto concedere, l’Avv. M. avrebbe dovuto comunque salvaguardare il diritto della propria cliente. Non dimentichiamo mai che l’avvocato ha un obbligo di protezione e salvaguardia verso il cliente.
Come si vede, dunque, gli argomenti difensivi di controparte sono infondati.
- 6. LE RISULTANZE ISTRUTTORIE
Alla luce di tutto quanto sopra esposto appaiono non decisive le risultanze testimoniali, in quanto nessun testimone può giustificare il fatto che l’Avv. M. non abbia fatto una visura camerale (che, si noti accuratamente, non è infatti stata prodotta dalla controparte!!!).
Perché anche a volere ritenere che il figlio della sig.ra S. abbia comunicato all’Avv. M. una denominazione sociale errata (circostanza che si contesta e smentita dallo stesso C. Thomas), ciò non esimeva il professionista dal fare i controlli del caso. Egli avrebbe anzitutto dovuto chiedere: come è venuto in possesso di questa informazione? Chi gliel’ha data? E comunque procedere alla verifica con una semplice visura. Lo stesso avrebbe dovuto fare dopo il pignoramento negativo con la causale “debitrice sconosciuta”.
Anzi, la prova della mancata diligenza è stata fornita dalla testimonianza dell’Avv. S., il quale ha dichiarato che l’Avv. M., vista la contumacia della società convenuta, lo incaricò di contattare il sig. C. Thomas al fine di avere conferma (sic!) della esatta denominazione della società convenuta: EBBENE nemmeno in quella circostanza a qualcuno venne in mente di fare una visura alla Camera di Commercio!!! Ma come è possibile ci chiediamo noi!?!
Per quanto riguarda le risultanze testimoniali va steso un velo pietoso.
Appare davvero inverosimile che una segretaria “viva” praticamente nella stanza del titolare di un (grosso) studio legale, ascoltando le telefonate e ricordando tutto di una (modestissima) pratica.
Fantasiosa è la circostanza del “particolare riguardo” (per fortuna!) avuto nei confronti del sig. C. Thomas, modestissimo sub-agente di un cliente dell’Avv. M.. Tanto “particolare riguardo” da non aver nemmeno fatto una visura camerale prima di intraprendere il giudizio!!!
Addirittura la segretaria si è ricordata che nella pratica in oggetto aveva sentito parlare gli avvocati del fatto che era stato proprio il Sig. C. Thomas a fornire il nome della società convenuta!!!
Quanto all’Avv. S., dominus di fatto della causa, è evidente la fondatezza della eccezione ex art. 246 c.p.c. sollevata da questa difesa, atteso che qualora risultasse l’errore professionale, l’Avv. M. potrebbe agire nei suoi confronti visto che era lui che se ne occupava!!!
Ad ogni modo, al di là della veridicità o meno delle dichiarazioni, rimane il fatto che esse sono irrilevanti ai fini del decidere.
- 7. IL DANNO SUBITO DALLA SIG.RA S.
In merito al danno è sufficiente richiamare quanto già esposto nel ricorso ex art. 702 bis c.p.c..
Il Tribunale di Cantù aveva riconosciuto alla sig.ra S. un risarcimento di euro 9.693,32 oltre ad euro 480,00 per spese di CTU. Dunque non parliamo di “serie probabilità”, bensì di certezze. D’altra parte l’Avv. M. non ha contestato la fondatezza della domanda decisa dal suddetto Tribunale.
La difesa avversaria afferma che non è possibile affermare con certezza che laddove fosse stato individuato il soggetto passivo correttamente la sig.ra S. avrebbe ottenuto il risarcimento, come pure che avrebbe potuto escutere il debitore.
Si tratta, tuttavia, di una difesa che affonda le sue radici nella antica giurisprudenza della Suprema Corte che si rifaceva al principio habeant sua sidera lites (Cass. Regno 10.02.1931).
È noto, però, che da allora di acqua ne è passata, tanto che oggi la Suprema Corte si accontenta della “ragionevole probabilità” o del “più probabile che non”.
“Quando il cliente pretende il risarcimento dal professionista, deve sempre dimostrare il danno e il nesso causale tra la condotta omissiva o negligente del mandatario e il pregiudizio patito. Se, poi, il professionista è un avvocato, o comunque un soggetto abilitato alla difesa in giudizio, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita”.
Cassazione civile, sez. III, 26/04/2010, n. 9917
“L’affermazione della responsabilità professionale dell’avvocato non implica l’indagine sul sicuro fondamento dell’azione che avrebbe dovuto essere proposta o diligentemente coltivata e, perciò, la certezza morale che gli effetti di una diversa attività del professionista sarebbero stati vantaggiosi per il cliente. Ne consegue che, al criterio della certezza della condotta, può sostituirsi quello della probabilità di tali effetti e della idoneità della condotta a produrli”.
Cassazione civile, sez. III, 03/04/2009, n. 8151
Peraltro, nel giudizio svoltosi avanti il Tribunale di Cantù era stato sentito come testimone anche il direttore del Supermarket (circostanza questa che conferma che la società convenuta sapeva benissimo dell’esistenza del giudizio e ha preferito non costituirsi) e il giudice ha riconosciuto il diritto della sig.ra S. nonostante che la dichiarazione resa dallo stesso fosse tutt’altro che favorevole!!! Questi, infatti, aveva dichiarato di non avere visto la sbarra, ma il giudice, nonostante ciò, ha affermato che egli non aveva assistito alla caduta e che era intervenuto successivamente per soccorrere l’attrice, con la conseguenza che era probabile che non avesse visto la sbarra di ferro, preoccupandosi soltanto di aiutare l’attrice (v. pag. 2 della sentenza).
Né il direttore ha fatto il nome di qualcuno che potesse aver assistito ad una dinamica diversa rispetto a quella allegata dall’attrice.
Dunque il diritto dell’attrice è stato riconosciuto nonostante una prova contraria!!!
Non vi sono dunque argomenti “seri ed apprezzabili” per ritenere come improbabile la conferma della sentenza in caso di costituzione della società convenuta. Anzi, è vero esattamente il contrario.
Poiché nel caso di specie un giudice di un Tribunale della Repubblica ha riconosciuto il diritto della sig.ra S., era onere dell’Avv. M. dimostrare che in caso di costituzione la domanda attorea sarebbe stata verosimilmente rigettata.
Quanto poi all’argomento secondo cui non è dato sapere se la cliente avrebbe potuto escutere utilmente la debitrice, esso prova troppo! Allora si dovrebbe escludere il risarcimento dei danni futuri, ad esempio, ai minori resi invalidi, in quanto anche per loro non è dato sapere quanto vivranno e che tipo di lavoro faranno (in teoria un danneggiato minorenne, una volta divenuto maggiorenne, potrebbe rimanere disoccupato per moltissimi anni!!!
Il nostro diritto civile, in realtà, conosce numerosissime ipotesi in cui i danni vengono liquidati anche in mancanza di certezza del loro effettivo verificarsi. Ci si accontenta cioè del “id quod plerumque accidit” (tanto per fare un altro esempio, l’IVA sulle riparazioni viene riconosciuta anche qualora il danneggiato non abbia ancora riparato la cosa; Cass. 1688/2010).
Dunque, a fronte di ciò, può ritenersi davvero irragionevole l’affermazione secondo cui la sig.ra S. non avrebbe conseguito il proprio risarcimento, tenuto anche conto che la ditta debitrice, stando a quanto affermato dallo stesso Avv. M., era assicurata con la RAS ASSICURAZIONI!!! (v. doc. c/p n. 12). Dunque, se l’azione fosse stata correttamente promossa, è ragionevole ritenere che la convenuta si sarebbe costituita chiamando in causa il proprio assicuratore per la responsabilità civile, cioè la RAS ASSICURAZIONI.
Vi è poi la questione del danno non patrimoniale, sulla quale si richiama quanto già illustrato in ricorso, tenuto conto che sullo stesso la difesa avversaria non ha preso posizione precisa (v. pag. 15 memoria di costituzione).
- 8. SULLA ECCEZIONE DI INADEMPIMENTO E DI RISOLUZIONE DEL CONTRATTO.
Ovviamente, oltre al danno vi è la questione relativa alla domanda di risoluzione del contratto e (a quella subordinata) di eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. ritualmente sollevata con l’atto introduttivo dalla sig.ra S..
Per quanto concerne quest’ultima, di recente la S.C. (n. 11304/2012) ha affermato la piena operatività anche nel rapporto cliente-avvocato:
“4 – In via preliminare ritiene la Corte che la ricorrente non abbia offerto alcun argomento idoneo a al fine di disattendere il principio secondo il quale l’art. 1460 cod. civ. è applicabile anche nel caso di contratto di opera professionale, laddove sia riscontrabile un’apprezzabile violazione dell’obbligo di diligenza professionale nell’espletamento dello stesso (cfr. Cass. Sez. 2, n. 11728/2002) dal momento che la caratteristica – peraltro tendenziale: cfr, in motivazione, Cass. Sez. 3, n. 5325/1993; Cass. Sez. 3, n. 4044/1994 in cui si svolgono critiche alla bipartizione tradizionale tra obbligazioni di mezzi e di risultato – del tipo negoziale disciplinato dagli artt. 2229 e segg. cod. civ., costituita dall’idoneità di dar vita alla c.d. obbligazione di mezzi anziché di risultato, non influisce sull’elemento essenziale – al fine dell’applicabilità dell’exceptio inadimplenti non est adimplendum – rappresentato dal nesso sinallagmatico tra prestazione del professionista ed obbligo del cliente di pagare il corrispettivo;
4/b – Deve altresì negarsi che la forma di autotutela stabilita dall’art. 1460 cod. civ. sia limitata all’ambito negoziale e che la stessa non possa essere utilizzata laddove l’obbligazione del professionista sia oramai eseguita: invero, se il termine “autotutela” appare più consono ad un rapporto svolgentesi al di fuori del processo, la sistematica e la genesi della disposizione in esame sono perfettamente compatibile con la sua utilizzazione in ambito giudiziale, sub specie di eccezione (cfr. Cass. Sez. 2 n. 8314/2003; Cass. Sez. 3 n. 1944/1977; Cass. Sez. 3, n. 2353/1974, che hanno altresì sottolineato la non necessità di un previo esercizio in sede negoziale della eccezione di cui trattasi, quale condizione per dedurla in giudizio).
4/c – Stabilita come precede l’applicabilità della speciale forma di autotutela negoziale disciplinata dall’art. 1460 cod. civ. anche ai contratti d’opera intellettuale, priva di argomentazione si rivela l’affermazione secondo la quale essa non sarebbe invocabile allorquando la prestazione fosse stata già resa: in contrario l’esecuzione uno latere della prestazione costituisce il presupposto della tutela di cui si parla che non avrebbe senso invocare laddove non vi fosse già un credito – derivante appunto dalla parziale esecuzione del contratto – contro la cui realizzazione opporsi.
5 – Erroneamente invece la Corte del merito ha valutato l’inadempimento del quale si sarebbe reso responsabile l’avv. G., da un lato rapportandolo alla singola carenza di diligenza e dall’altro non esattamente valutandone l’incidenza sul successivo corso del giudizio”.
Quella di risoluzione si poggia sulla disciplina generale ex art. 1453 c.c.
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Per tutti i motivi sopra esposti, si confida nell’accoglimento della domanda.
Senigallia, lì 11/10/2011
Avv. Mirco Minardi

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