Questioni controverse in materia di prova testimoniale (parte I)

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In questo articolo esamineremo, dal punto di vista pratico, alcune questioni che spesso si presentano agli operatori allorquando si tratta di assumere una prova testimoniale.

 

  1. 1.      Mancata indicazione del nome dei testimoni.

Una delle prime questioni è quella relativa alla indicazione del nome dei testimoni in un momento successivo a quello della formulazione dei capitoli. In altre parole, è possibile indicare le generalità in un momento successivo rispetto a quello dell’articolazione? Al riguardo occorre distinguere tra le diverse ipotesi.

Ben può accadere che la parte articoli la prova testimoniale nell’atto introduttivo omettendo però il nome del testimone. Nel rito ordinario nulla impedisce di indicare il nome dei testimoni a prova diretta entro il secondo termine di cui all’articolo 183 sesto comma e, per quanto concerne la prova contraria, entro il terzo termine. Dunque non vi è un obbligo di indicare contestualmente le generalità.

Certo è che se la capitolazione della prova diretta avviene con la seconda memoria ex articolo 183 c.p.c., la parte ha l’onere di indicare in quel momento il loro nome.

Ovviamente nulla impedisce che in alcune circostanze l’avvocato possa essere rimesso nei termini, ex art. 153 c.p.c., qualora ovviamente sussistano i presupposti.

Al contrario del rito ordinario, nel rito del lavoro la giurisprudenza si è mostrata molto meno rigorosa, in quanto in diversi casi ha consentito alla parte di regolarizzare la mancata indicazione del nome del testimone attraverso la concessione di un termine ad hoc (Cass. 16529/2004; Cass. 8054/2004). L’omissione in questione, infatti, viene considerata una mera irregolarità.

 

“Nel rito del lavoro, qualora la parte abbia, con l’atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale, specificamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma omettendo l’enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, tale omissione non determina decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concreta una mera irregolarità, che abilita il giudice all’esercizio del potere – dovere di cui all’art. 421, comma 1, c.p.c. Conseguentemente, in sede di pronuncia dei provvedimenti istruttori di cui all’art. 420 stesso codice, il giudice, ove ritenga l’esperimento del detto mezzo pertinente e rilevante ai fini del decidere, deve indicare alla parte istante la riscontrata irregolarità, che allo stato non consente l’ammissione della prova, assegnandole un termine per porvi rimedio ed applicando, a tal fine, la particolare disciplina prevista dal comma 5 della norma da ultimo citata, col corollario della decadenza nella sola ipotesi di mancata ottemperanza allo spirare di questo termine, espressamente dichiarato perentorio dal medesimo comma. Peraltro, in particolare, l’art. 244 c.p.c. attribuisce al giudice un potere discrezionale circa l’assegnazione di un termine per formulare o integrare le indicazioni relative alle persone da interrogare o ai fatti sui quali debbono essere interrogate e, una volta che il giudice abbia esercitato tale potere, definisce il termine come perentorio, precludendo così la possibilità di concedere ulteriori dilazioni, per cui l’inosservanza di detto termine produce la decadenza dalla prova, rilevabile anche d’ufficio e non sanabile nemmeno sull’accordo delle parti”.

Cassazione civile, sez. lav., 21/08/2004, n. 16529

 

Si tratta di una giurisprudenza extra ordinem, in quanto nessuna norma del codice di rito consente l’esercizio di un simile potere da parte del giudice. La giustificazione – si afferma – riposa nell’osservazione che nel rito del lavoro i poteri ufficiosi del giudice sono più penetranti. Tuttavia, com’è stato osservato, se una simile giustificazione fosse valida bisognerebbe ritenere che in quel rito allora non vi sono preclusioni di carattere istruttorio tout court, in quanto il giudice potrebbe sempre ammettere, in virtù dei suoi poteri ufficiosi, qualsiasi prova, a prescindere da qualsiasi decadenza intervenuta.

 

  1. 2.      Inesatta o incompleta indicazione del nome dei testimoni.

Alla mancata indicazione del nome del testimone deve essere equiparata l’incompleta o inesatta indicazione delle sue generalità. Naturalmente si tratta di stabilire quando l’indicazione può essere ritenuta incompleta e cioè se sia sufficiente l’indicazione del nome ed il cognome del testimone, oppure se sia anche necessario indicare il suo indirizzo di residenza.

Sulla questione, però, va ricordato che la Corte Costituzionale, con ordinanza del 26 febbraio 1993, n. 75, ha dichiarato la manifesta incostituzionalità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 244, comma 1, c.p.c. nella parte in cui non impone l’indicazione, oltre al nome e del cognome di testimoni, anche della loro residenza.

Del pari non è necessario indicare quali siano i rapporti tra il testimone e la parte (Cass. 8 agosto 1989, n. 3635).

Altro problema è quello di stabilire se laddove la qualità di testimone sia legata ad una certa qualifica o funzione (si pensi, ad esempio, il direttore di un albergo o di una banca), la parte possa limitarsi ad indicare quest’ultima, oppure sia comunque tenuta a esplicitare il nominativo. In proposito, la Corte di cassazione con sentenza del 7 giugno 2003 n. 9150 ha ritenuto sufficiente l’indicazione della qualifica. Detta soluzione appare condivisibile in quanto ciò non pregiudica in alcun modo il diritto di difesa della controparte.

L’indicazione dei testimoni può avvenire mediante individuazione indiretta di essi tramite la funzione espletata nell’ufficio o nell’ente di cui fanno parte, a condizione che questa consenta una sicura identificazione della persona che si intende chiamare come testimone, onde consentire all’altra parte, nel rispetto delle regole del contraddittorio, di individuare i testi di cui l’istante intende avvalersi. (Nella specie, parte ricorrente aveva indicato il capo dell’ufficio sanitario delle Ferrovie dello Stato e la S.C., ritenuta sufficiente tale indicazione, ha cassato la sentenza di merito che con motivazione generica aveva escluso la prova per omessa indicazione dei testi)
Cassazione civile, sez. lav., 07/06/2003, n. 9150

 

  1. 3.      La sostituzione del testimone.

Può accadere che la parte abbia la necessità di chiedere la sostituzione del testimone, ad esempio perché vi è stato un avvicendamento della qualifica (si pensi alla parte che citi il direttore di una banca che, però, sia stato nel frattempo trasferito), oppure perché i testimoni sentiti non sono a conoscenza dei fatti, oppure perché sono morti.

In questi casi si tratta di stabilire se sia ammissibile una remissione in termini.

Nel primo caso la sostituzione del testimone deve essere senz’altro consentita, a meno che si dimostri che la parte era consapevole e dunque che l’errore non è scusabile. Difatti, una volta data la possibilità alla parte di citare il testimone indicando esclusivamente la qualifica o la funzione, sarebbe assurdo non consentirle, una volta venuta a conoscenza del diverso soggetto che rivestiva la qualifica l’epoca dei fatti, di chiedere la sostituzione del testimone.

Peraltro, poiché nessuno dubita del fatto che la parte possa chiedere la testimonianza della persona a conoscenza dei fatti il cui nome sia emerso soltanto durante l’escussione, non si vede per quale ragione si debba impedire alla parte di chiedere la sostituzione prima che l’escussione avvenga.

Anche in merito alla seconda questione la migliore dottrina  ha sottolineato che sarebbe eccessivamente ingiusto e severo impedire alla parte di chiedere l’escussione di nuovi testi qualora quelli sentiti (o alcuni di quelli sentiti) non possano deporre o si scoprano imprevedibilmente non possedere un’adeguata conoscenza dei fatti.


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Avvocato, blogger, relatore in convegni e seminari. Autore di numerosi articoli apparsi su riviste specializzate cartacee e delle seguenti monografie: Le insidie e i trabocchetti della fase di trattazione del processo civile di cognizione. Manuale di sopravvivenza per l’avvocato, Lexform Editore, 2009; Le trappole nel processo civile, 2010, Giuffrè; L’onere di contestazione nel processo civile, Lexform Editore, 2010; L’appello civile. Vademecum, 2011, Giuffrè; Gli strumenti per contestare la ctu, Giuffrè, 2013; Come affrontare il ricorso per cassazione civile, www.youcanprint.it, 2020.

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Un commento:

  1. Domenico giordano

    In una causa civile, il mio teste ha indicato come anno di accadimento del fatto il 2013 invece del 2012, probabilmente perchè il fatto è accaduto alla fine del 2012.
    Ad ogni modo il giudice pur in presenza di prove documentali, fatture, intervento del soccorso stradale ha ritenuto che i documenti si riferissero ad un altro incidente.
    Tuttavia la notifica alla controparte è avvenuta nel settembre 2013 dunque prima della data in cui il teste ha riferito che sarebbe accaduto il sinistro (dicembre 2013).
    Quest’ulteriore elemento può essere oggetto di un motivo per proporre appello visto che tutti gli elementi in possesso del giudice fanno intendere chiaramente che il teste è incorso in un errore materiale?
    P.s. Non sono ancora riuscito a trovare una giurisprudenza ad hoc
    Grazie, in anticipo se vorrai rispondermi.



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