E’ risaputo che la condanna alle spese di lite comprende l’Iva, anche in assenza di espressa domanda, come pure nella ipotesi in cui il giudice non l’abbia riconosciuta.
Ciò non toglie che in sede pre-esecutiva, la parte che intima l’atto di precetto deve fare attenzione alla posizione soggettiva del suo cliente. Questi, infatti, se è un soggetto passivo di Iva, può portare in detrazione l’imposta; pertanto, il creditore non può in tal caso addebitare l’Iva al precettato, anche se il giudice l’ha espressamente liquidata.
Il principio, è stato ribadito di recente anche da Cass. civ. 11877/2007, secondo cui «La sentenza di condanna della parte soccombente al pagamento delle spese processuali in favore della parte vittoriosa, liquidandone l’ammontare, costituisce titolo esecutivo, pur in difetto di un’espressa domanda e di una specifica pronuncia, anche per conseguire il rimborso dell’Iva che la medesima parte vittoriosa assuma di aver versato al proprio difensore, in sede di rivalsa e secondo le prescrizioni dell’art. 18 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, trattandosi di un onere accessorio che, in via generale, ai sensi dell’art. 91, comma 1, c.p.c., consegue al pagamento degli onorari al difensore. Tuttavia, la deducibilità di tale imposta potrebbe, eventualmente, rilevare solo in ambito esecutivo, con la conseguente possibilità, per la parte soccombente, di esercitare la facoltà di contestare sul punto il titolo esecutivo con opposizione a precetto o all’esecuzione, al fine di far valere eventuali circostanze che, secondo le previsioni del citato d.P.R. n. 633 del 1972, possano escludere, nei singoli casi, la concreta rivalsa o, comunque, l’esigibilità dell’Iva»
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