L’avvocata Tizia conviene in giudizio l’Associazione X per sentirla condannare al pagamento della prestazione professionale, consistente nella redazione di un parere orale avente ad oggetto i presupposti per l’impugnazione di un lodo arbitrale.
L’Associazione si costituisce per contestare l’assunto, affermando che in realtà aveva proposto all’Avv. Tizia un patto di quota lite, che questa, dopo lo studio delle carte, aveva rifiutato.
In corso di causa era assunta la prova testimoniale di una collaboratrice di Tizia, che tuttavia non era in grado di riferire circostanze determinanti per la decisione della causa.
Il giudice di pace rigetta la domanda posto che “studiare la documentazione per decidere se assumere l’incarico o meno e spiegare le ragioni del rifiuto, non si configura né come parere né come consulenza, per cui nulla spetta a tale titolo”. Ciò, infatti, sarebbe confermato dall’art. 12 del Codice Deontologico, rubricato “Dovere di competenza” il quale dispone che “L’avvocato non deve accettare incarichi che sappia di non poter svolgere con adeguata competenza. I) – L’avvocato deve comunicare all’assistito le circostanti impeditive alla prestazione dell’attività richiesta, valutando, per il caso di controversie di particolare impegno e complessità, l’opportunità della integrazione della difesa con altro collega. II) – L’accettazione di un determinato incarico professionale fa presumere la competenza a svolgere quell’incarico”.
Nel caso di specie, peraltro, secondo il giudicante, l’assunto della convenuta era rafforzato dalla mancata contestazione da parte della difesa attrice dell’affermazione secondo cui la stessa Associazione aveva proposto un patto di quota lite che l’Avv. Tizia aveva rifiutato.
Leggendo la sentenza, concordo con il Giudice sul fatto che in giudizio non era stata raggiunta la prova del conferimento dell’incarico. E’ noto, infatti, che qualora il cliente convenuto contesti di avere conferito un mandato, spetta al professionista l’onere di provare la conclusione del contratto (tra le tante Cass. civ. 9254/2006) . E va altresì apprezzato quel riferimento alla mancata contestazione, che sempre più, anche nel rito ordinario, assume un significato probatorio importante (Cass. sent. 5191/2008).
Diversa però, in linea generale, è a mio avviso la questione se l’Avvocato abbia diritto al pagamento della parcella, qualora gli venga conferito l’incarico di studiare un caso al fine dell’eventuale introduzione di un giudizio.
Afferma il giudice di pace, nella sentenza in esame, che “non è conforme alle regole di buona fede pretendere un compenso per un esito aleatorio quale deve essere considerato lo studio di un problema giuridico finalizzato all’assunzione o meno di un incarico professionale”.
A mio parere non si tratta di stabilire un principio generale, ma di verificare, caso per caso, se lo studio di fattibilità del legale sia o meno prestazione di un contratto di consulenza valido ed efficace.
In altre parole, se l’Avvocato accetta l’incarico di studiare le carte dietro pagamento e il cliente accetta, il contratto è valido ed efficace e, a mio avviso, non viola le regole della buona fede, in quanto lo studio della controversia è una attività che va riconosciuta a prescindere dall’inizio o meno della causa. L’avvocato, infatti, mette a disposizione del cliente le sue conoscenze giuridiche, altamente specialistiche, al fine di formulare un parere sul possibile esito della causa, che, ovviamente, può anche essere negativo, con conseguente rifiuto di accettare il mandato ad litem. Attività peraltro riconosciuta dalle tabelle professionali.
Il problema rimane nei casi in cui il cliente si reca dall’avvocato e gli dice: “Avvocato, vorrei impugnare questa sentenza, lei è disposto ad accettare l’incarico?” e l’avvocato – senza specificare di voler essere pagato anche per la sola disamina – dopo aver studiato tutte le carte gli risponde negativamente. In tal caso, la proposta del cliente non ha ottenuto l’accettazione del legale e dunque il contratto di consulenza professionale non si è perfezionato. Pertanto, il legale non può pretendere il compenso per l’attività di studio, in quanto la richiesta di pagamento per detta attività integra – rispetto alla originaria proposta del cliente – una contro proposta che non è stata formulata. In buona sostanza, l’attività di studio è qui preordinata all’accettazione o al rifiuto dell’incarico.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL GIUDICE DI PACE DI PORTOGRUARO
nella persona dell’avv. Anna Salice, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. 6 del Ruolo Generale dell’anno 2008, promossa
da
avv. TIZIA, rappresentata e difesa dall’avv. Caio, con domicilio eletto presso il suo studio legale a Portogruaro, giusta delega a margine all’atto di citazione;
ATTRICE
ASSOCIAZIONE, in persona del legale rappresentante pro-tempore, associazione sportiva dilettantistica con sede a Portogruaro,
CONVENUTA
OGGETTO: recupero crediti
CONCLUSIONI
PER L’ATTRICE: accertato che su incarico della Associazione, l’avv. Tizia ha svolto l’attività professionale di cui in narrativa, condannare la convenuta Associazione, in persona del legale rappresentante pro-tempore, a pagare all’attrice la somma di € 200,08, o di quella diversa che si riterrà di giustizia, oltre all’IVA e al C.P. nelle misure di legge, nonché le spese di lite;
PER LA CONVENUTA: acclarato che alcun parere, né scritto né orale, è mai stato rilasciato dall’avv. Tizia, rigettare in toto la domanda dell’attrice.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato per l’udienza del 10 gennaio 2008, l’avv. Tizia esponeva di avere prestato la propria attività professionale a favore di Associazione nella persona del suo legale rappresentante Sempronio. Oggetto della consulenza riguardava l’impugnazione di un lodo arbitrale emesso dalla Curia Mercatorum di Treviso, la quale si era pronunciata parzialmente a favore della associazione convenuta. Gli incontri erano stati due, con un accesso intermedio in studio del sig. Sempronio, che aveva portato la documentazione necessaria per lo studio del caso. Al secondo incontro l’avv. Tizia aveva reso il suo parere sull’intera vicenda prospettando quali esiti avrebbe potuto avere una eventuale impugnazione. Successivamente aveva inviato, per l’attività svolta, un preavviso di parcella, a cui l’Associazione non aveva mai provveduto. Anzi, con lettera del 14 giugno 2007, il sig. Sempronio aveva negato di dovere alcunché. Di qui l’instaurazione del presente giudizio.
All’udienza del 10 gennaio 2008 si prendeva atto della costituzione irrituale di parte convenuta, di cui veniva dichiarata la contumacia, nonché del fatto che parte attrice depositava copia della documentazione rilasciatale dal sig. Sempronio per il parere. Indi il Giudice di Pace, vista la richiesta scritta e motivata del legale rappresentante della Associazione, fissava l’udienza del 2 ottobre 2008 per un tentativo di conciliazione, ammettendo, in via subordinata in caso di esito negativo del predetto tentativo di conciliazione, la prova testimoniale di parte attrice sui capitoli di cui all’atto di citazione del 22 ottobre 2007 e con i testi ivi indicati.
All’udienza del 2 ottobre 2008 si presentava il sig. Sempronio, il quale giustificava i suoi poteri rappresentativi all’interno dell’Associazione. Ne conseguiva la revoca della contumacia della convenuta Associazione. Indi si procedeva al tentativo di conciliazione.
Il sig. Sempronio spiegava che si era rivolto all’avv. Tizia facendo presente di rappresentare una associazione sportiva dilettantistica e di non avere disponibilità economiche. Si era rivolto al legale per sapere se era disponibile ad impugnare un lodo arbitrale con il patto di quota lite. Dopo avere consegnato la documentazione del caso su specifica richiesta della stessa avv. Tizia, questa aveva dato risposta negativa non essendo disponibile a sostenere l’incarico con la clausola della quota lite. Il difensore dell’avv. Tizia esponeva che la sua assistita, prima di dare una risposta se accettare o meno l’incarico, aveva chiesto la documentazione proprio per vedere la fattibilità professionale della sua assistenza legale. E per fare ciò aveva dovuto studiare il caso e dare il suo parere.
L’avv. Caio precisava che il sig. Sempronio aveva chiesto il parere se il lodo arbitrale era impugnabile con successo o meno. Il sig. Sempronio replicava che non corrispondeva al vero di avere chiesto la fattibilità positiva di impugnare il lodo, ma che era stata rappresentata la situazione che la sua associazione non aveva soldi e pertanto era alla ricerca di un avvocato disponibile a prestare la sua opera professionale con il patto quota lite. Stante questa premessa, a suo dire l’avv. Tizia avrebbe dovuto premettere che esprimere una decisione di tal genere avrebbe comportato uno studio e quindi un costo. E comunque il sig. Sempronio insisteva nel sostenere che la risposta dell’avv. Tizia non poteva essere definito un parere.
Il Giudice di Pace chiedeva alle parti su quali basi fosse possibile fare una conciliazione. Il sig. Sempronio rifiutava di prendere in considerazione qualsiasi ipotesi transattiva. L’avv. Tizia, oltre alle proprie competenze, chiedeva il riconoscimento delle spese di lite.
Preso atto di ciò, il Giudice di Pace dichiarava non riuscito il tentativo di conciliazione. A questo punto l’avv. Tizia si allontanava non avendo interesse a rimanere in udienza.
Il Giudice di pace disponeva, indi, l’inizio delle prove testimoniali. Veniva escussa la teste Mevia, la quale dichiarava di essere collega di studio dell’avv. Tizia. Ricordava di avere fatto entrare il sig. Sempronio in studio e di averlo fatto accomodare nella stanza dell’avv. Tizia, ma di non aver assistito al colloquio intercorso tra loro due. Successivamente, dopo l’incontro, era stata richiesta dalla collega Tizia se era a conoscenza delle questioni legate alle procedure arbitrali, in quanto aveva frequentato un corso in materia. E l’avv. Tizia aveva spiegato che ciò le serviva per studiare una questione di lodo arbitrale del sig. Sempronio. La teste riferisce che, avendo la stanza attigua a quella della collega, aveva sentito che l’avv. Tizia parlava leggendo qualcosa, ma non aveva ovviamente potuto sentire in dettaglio l’oggetto della conversazione, che poi l’avv. Tizia le aveva riferito riguardare l’impugnabilità di un lodo. L’incontro era durato senz’altro più di un’ora. La teste ricordava anche il secondo incontro, a cui non aveva assistito personalmente, e ricordava anche che la collega aveva parlato a lungo da sola, senza che ciò avesse i toni di una conversazione, e che alla fine c’era stata una discussione, la quale aveva avuto un epilogo con toni alti. Per quanto riguardava la parcella, essa era riferita alla preparazione del fascicolo, ai due incontri e al parere orale dato al sig. Sempronio. Per quanto concerneva il merito della questione che il sig. Sempronio aveva sottoposto all’avv. Tizia, la teste riferiva di non esserne a conoscenza se non per quanto riferitole dalla collega e che riguardava le questioni procedurali.
A questo punto, ritenuta conclusa la fase istruttoria, il Giudice di Pace invitava le parti a precisare le conclusioni e a fare la discussione per l’udienza del 30 ottobre 2008, autorizzandole altresì a depositare memoria conclusionale. Ivi venivano espletati tali incombenti e, in particolare, per la discussione, l’avv. Caio si riportava agli atti di causa, contestando la difesa conclusionale di controparte soprattutto se aveva presentato domande nuove. Anche il sig. Sempronio discuteva la causa come da atti da lui depositati contestando l’assenza di prova da parte dell’avv. Tizia per la propria pretesa creditoria. Indi, il Giudice di Pace tratteneva la causa a sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La presente causa ha per oggetto il pagamento di una parcella che l’avv. Tizia ha chiesto alla Associazione sportiva dilettantistica.
Sostiene l’attrice di avere fornito un parere professionale orale per l’impugnazione di un lodo arbitrale pronunciato dalla Curia Mercatorum di Treviso, il quale aveva visto l’associazione parzialmente soccombente con il riconoscimento della somma di € 1.200,00. In conseguenza di ciò aveva presentato una parcella di € 200,08.
L’Associazione, per il tramite del proprio Presidente legale rappresentante sig. Sempronio, si è opposta alla richiesta, in quanto il contatto professionale con l’avv. Tizia era finalizzato alla disponibilità del legale di impugnare il lodo arbitrale sulla base di un accordo di “patto quota lite”. Già durante il pre-contatto telefonico egli aveva messo in chiaro lo scopo dell’incontro. Per cui, di fronte al rifiuto dell’avv. Tizia di assumere l’incarico, il sig. Sempronio riteneva che nulla doveva.
La esposizione dei fatti che hanno interessato il rapporto professionale tra l’avvocato e il legale rappresentante della Associazione, sig. Sempronio, è pacifica.
Entrambe le parti hanno confermato di essersi incontrate due volte nello studio dell’avv. Tizia, nonché la circostanza che il Sempronio aveva consegnato la documentazione per consentire lo studio della pratica. In tal senso la testimonianza dell’avv. Mevia, collega di studio dell’attrice, risulta ininfluente, perché non ha aggiunto nulla di più di quanto già riconosciuto e ammesso dai protagonisti della vicenda di cui è causa. Infatti ella ha confermato gli incontestati fatti di causa a cui aveva assistito personalmente (accesso del sig. Sempronio in studio, percezione di colloquio professionale tra avvocato e cliente; conoscenza indiretta delle questione giuridiche sottoposte all’attenzione dell’avv. Tizia).
La divergenza riguarda il contenuto del contatto tra professionista e cliente, su cui la teste non ha saputo riferire nulla di quanto avvenuto in sua presenza.
Secondo l’avv. Tizia, ella era stata richiesta di un parere sull’eventuale impugnazione del lodo arbitrale. Anzi, nella memoria conclusionale l’attrice ha puntualizzato: “All’udienza del 2 ottobre 2008 il sig. Sempronio, completando la propria confessione, ha precisato di essersi rivolto all’avv. Tizia per sapere se era disponibile ad impugnare un lodo arbitrale. Impugnazione che, necessariamente e logicamente, deve passare attraverso l’esame del lodo e della documentazione relativa ed allo studio della possibilità e proficuità di agire in secondo grado”.
Da parte sua, il sig. Sempronio, nella memoria conclusionale, ha ribadito di non aver ricevuto alcun parere legale, né scritto, né orale, per il semplice fatto che l’avv. Tizia aveva deciso di non accettare l’incarico. E comunque contesta il comportamento dell’avv. Tizia di non averlo preavvisato che il decidere se accettare o meno l’incarico avrebbe comportato uno studio con conseguente emissione di parcella, quando aveva fatto presente sin dall’inizio che l’Associazione non aveva i mezzi economici per pagare competenze legali di alcun genere, puntando, invece, ad un rapporto basato sul patto di quota lite.
Ad avviso di questo giudicante la questione va risolta sulla base del Codice Deontologico Forense, e precisamente dell’art. 12, rubricato “Dovere di competenza”. Detto articolo dispone che “L’avvocato non deve accettare incarichi che sappia di non poter svolgere con adeguata competenza. I) – L’avvocato deve comunicare all’assistito le circostanti impeditive alla prestazione dell’attività richiesta, valutando, per il caso di controversie di particolare impegno e complessità, l’opportunità della integrazione della difesa con altro collega. II) – L’accettazione di un determinato incarico professionale fa presumere la competenza a svolgere quell’incarico”.
Quindi, prima dell’accettazione dell’incarico, l’avvocato ha il dovere di procedere con una valutazione per far fronte alla richiesta del cliente. Giustamente l’avv. Tizia aveva chiesto al sig. Sempronio di avere copia della documentazione riguardante la questione sottoposta alla sua attenzione. Come ha confermato il difensore avv. Caio all’udienza del 2 ottobre 2008 “l’avv. Tizia, prima di dare una risposta se accettare o meno l’incarico, aveva chiesto la documentazione proprio per vedere la fattibilità professionale della sua assistenza legale. E per fare ciò aveva dovuto studiare il caso e dare il suo parere”.
Secondo questo giudicante, studiare la documentazione per decidere se assumere l’incarico o meno e spiegare le ragioni del rifiuto, non si configura né come parere né come consulenza, per cui nulla spetta a tale titolo. E questo anche alla luce di un proposta di patto di quota lite, che il sig. Sempronio, sin dal suo primo atto difensivo, ha ribadito e ripetuto, e cioè che il legale rappresentante della Associazione aveva contattato l’avv. Tizia per un rapporto professionale basato sul patto di quota lite proprio perché l’associazione non aveva i mezzi economici per pagare comunque un legale.
Trattasi di circostanza che l’attrice non ha ammesso, non ha contestato e non ha negato. Semplicemente l’ha ignorata.
Nella sua comparsa conclusionale la difesa attorea ha rimarcato, ha evidenziato, ha sottolineato tutte le affermazioni fatte dal sig. Sempronio che, a suo dire, assumevano l’aspetto di confessione contro la stessa Associazione. Ebbene, l’attrice non ha, invece, speso una parola su un possibile e plausibile patto di quota lite in caso di accettazione dell’incarico di impugnare il lodo arbitrale. Né è emerso dall’istruttoria che la richiesta del Presidente della Associazione fosse fine a se stessa, senza conferimento di mandato. Se ciò fosse risultato evidente, allora andava riconosciuta l’attività professionale.
Il rapporto intercorso tra avvocato e probabile cliente si è mantenuto a livello di semplici trattative, a cui non è seguito un incarico professionale, per rifiuto della professionista, pur di fronte all’interesse del sig. Sempronio di trovare un legale disponibile a patrocinare la causa con il patto di quota lite. Trattasi di prestazione non tipizzata, né a livello deontologico né sul piano delle tariffe forensi, basata sulla buona fede della parte richiedente, che non era stata preavvisata che la sua richiesta avrebbe comportato delle spese. Anche durante il primo incontro l’avv. Tizia, che aveva chiesto ulteriore documentazione al sig. Sempronio, avrebbe dovuto preavvisarlo che ciò avrebbe comportato dei costi.
Nessuno dubita che l’avv. Tizia abbia speso tempo per visionare la documentazione al fine di decidere se accettare o meno l’incarico, facendo le sue valutazioni sulla bontà dell’impugnazione del lodo arbitrale, ma non è conforme alle regole di buona fede pretendere un compenso per un esito aleatorio quale deve essere considerato lo studio di un problema giuridico finalizzato all’assunzione o meno di un incarico professionale.
A parere di questo giudicante, vista la ininfluenza delle dichiarazioni della teste Mevia, per cui ne consegue che l’avv. Tizia non ha fornito una prova piena ed incontrovertibile del diritto di credito reclamato sostenendo di aver fornito un parere, valutata l’attendibilità delle argomentazioni difensive del sig. Sempronio come qui sopra esposte, la domanda attorea deve essere respinta.
Data la particolarità del caso trattato in questa sede, di cui non sono stati rintracciati precedenti giurisprudenziali, né è stata rivenuta dottrina in merito alla natura delle prestazioni professionali tese a dare una risposta ad una richiesta di incarico con il patto di quota lite, le spese di lite vengono compensate.
P.Q.M.
Il Giudice di Pace di Portogruaro rigetta la domanda proposta dall’avv. Tizia e compensa le spese di lite.
Portogruaro 18 dicembre 2008
IL GIUDICE DI PACE
Avv. Anna Salice

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