TRIBUNALE CIVILE DI ….
SEZIONE DISTACCATA DI …..
COMPARSA CONCLUSIONALE
I. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, il sig. ATTORE ATTORI opponeva il decreto ingiuntivo n. …. dell’…… che la società NOMEFANTASIA S.R.L. aveva ottenuto dal Tribunale di …..nei confronti dello stesso opponente, per la somma di euro 7.560,00, quale provvigione dovuta per una intermediazione immobiliare.
Nell’atto di opposizione il sig. ATTORE ATTORI eccepiva: di non aver MAI concluso un contratto avente ad oggetto la vendita dell’immobile sito in ….., Via S. n. 18; che difatti l’immobile de quo era stato venduto dalla proprietaria esclusiva dello stesso, ovverosia dalla signora MEVIA MEVI, moglie dell’, in regime di separazione dei beni, come si evinceva dall’atto pubblico di vendita che si allegava; che l’, quindi, (come pure la moglie), non aveva mai conferito alla agenzia immobiliare convenuta alcun incarico, né in proprio, né per conto della moglie, come peraltro era già stato contestato dallo scrivente difensore con lettera del 09/10/2007; che in realtà un coacquirente dell’immobile, Sig. SEMPRONI Ettore aveva contattato direttamente la sig.ra MEVIA MEVI tramite il di lui figlio, Sig. SEMPRONI ULPIANO; che ciò era dimostrato dal fatto che le parti avevano dichiarato nell’atto pubblico di compravendita di non essersi avvalsi dell’opera di alcun mediatore [v. art. 6, lettere b) e c)]; che peraltro MAI la Sig.ra MEVIA si era recata presso l’Agenzia convenuta per mettere in vendita l’immobile, come pure il marito, odierno opponente; che pertanto mancavano i presupposti fondamentali affinché potesse dirsi maturato il diritto ad ottenere il pagamento della provvigione nei confronti dell’-opponente, ovvero la conclusione di un affare da parte dell’ e la stessa attività di intermediazione del mediatore.
Si costituiva in giudizio la soc. NOMEFANTASIA S.R.L. la quale, resasi conto di non poter pretendere la provvigione dal sig. ATTORE in quanto lo stesso, inequivocamente, non aveva stipulato il contratto, mutava la domanda allegando che in realtà nella specie trattavasi di un contratto a favore di terzo.
Alla prima udienza la scrivente difesa eccepiva la novità della domanda e si opponeva alla concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo.
Il giudice negava detta richiesta ex adverso formualta e concedeva il triplo termine ex art. 183 c.p.c.
In corso di causa era assunte prove testimoniali e per interrogatorio, nonché depositati documenti.
La causa passava quindi in decisione con termine sino al 07/12/2010 per il deposito di memorie.
II. RICHIESTA DI RIMESSIONE IN TERMINI
La presente causa di opposizione a decreto ingiuntivo è stata iscritta a ruolo nel periodo tra il 6° e il 10° giorno dalla notifica della citazione.
Come ormai noto, le S.U., con la sentenza 19246/2010, hanno affermato, seppure con un obiter dictum, che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’opponente ha l’onere di costituirsi sempre entro cinque giorni dalla notifica, anche quando, come nel caso di specie, i termini di comparizione assegnati sono quelli ordinari.
Che, all’indomani del revirement effettuato dalla Corte di Cassazione, si sono allo stato delineati diversi orientamenti della giurisprudenza di merito, sostanzialmente riconducibili alle seguenti soluzioni interpretativo-applicative:
a) irretroattività del mutamento giurisprudenziale innovativo sia in considerazione dell’errore incolpevole in cui è incorsa la parte sia in ossequio al principio costituzionalizzato nel giusto processo (v. Trib. Varese 8 ottobre 2010; Trib. Milano 13 ottobre 2010; Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi, Sentenza 3 novembre 2010);
b) rimessione in termini per affidamento incolpevole della parte senza invalidazione ex post dell’attività processuale già svolta nel rispetto del principio della ragionevole durata del giudizio (v. Trib. Torino 14 ottobre 2010; Tribunale di Macerata, Sezione distaccata di Civitanova Marche, Sentenza 22 ottobre 2010; Tribunale di Velletri, Sentenza 15 ottobre 2010; Tribunale di Pavia, Ordinanza 14 ottobre 2010);
c) mancato adeguamento al dictum delle Sezioni Unite in esame in assenza di efficacia vincolante delle decisioni di legittimità (v. Trib. Padova 21 ottobre 2010; Ordinanza Trib. Catanzaro 4/11/2010; Tribunale di Belluno, Sentenza 30 ottobre 2010).
Per quanto concerne la giurisprudenza locale, è noto che il Tribunale di Ancona (v. Protocollo di intesa del 12/11/2010) e la Corte di Appello di Ancona (Ord. 15/11/2010) ritengono possa operare la rimessione in termini.
Per tali motivi, lo scrivente difensore, chiede preliminarmente che il Tribunale voglia rimettere nei termini l’opponente ex art. 153 c.c., trattandosi di errore scusabile determinato dall’improvviso ed imprevedibile revirement della giurisprudenza, ed avendo fatto affidamento incolpevole sull’orientamento cinquantennale della Corte di Cassazione.
III. SULLA ECCEZIONE DI PRESCRIZIONE
Questa difesa ha sollevato tempestivamente l’eccezione di prescrizione del diritto ex art. 2950 c.c., peraltro in via subordinata rispetto all’accertamento dell’inesistenza di qualsivoglia rapporto contrattuale. Difatti:
– le parti hanno stipulato il contratto preliminare di vendita in data 14/06/2006;
– il contratto definitivo è stato stipulato in data 04/09/2006;
– la prima missiva di messa in mora dell’NOMEFANTASIA S.R.L. al sig. ATTORE ATTORI è datata 24/07/2007.
Come è noto, per giurisprudenza pacifica, il preliminare segna il momento a partire dal quale inizia a decorrere il termine della prescrizione (tra tutte e più recenti Cass. civ. 22000/2007).
Controparte ha tuttavia eccepito che la data di detto contratto, non essendo registrato, non può essere ad essa opposta, in quanto terzo.
L’assunto è risultato manifestamente infondato.
L’art. 2704 c.c. allorquando stabilisce che “la data della scrittura privata della quale non è autenticata la non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata o dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l’hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento”, non pone un divieto assoluto, soprattutto allorquando via sia un fatto che, come dice la norma, stabilisca in modo egualmente certo l’anteriorità della formazione del documento.
Nella fattispecie detto documento è costituito dall’assegno circolare non trasferibile di euro 31.500,00, datato 18/06/2006, tratto sulla Banca ….. ….. n.ro …..47222-05, che i promissari acquirenti consegnarono ai promittenti venditori contestualmente alla firma dell’atto e che si trova richiamato anche nel contratto definitivo di vendita [pag. 5, art. 5, lettera a)].
Peraltro, anche il testimone SEMPRONI ULPIANO, all’udienza del 24/02/2009 ha confermato l’avvenuta stipula del contratto presso lo studio del Notaio ARCIBALDO e la consegna contestuale dell’assegno circolare di cui sopra.
In giurisprudenza è stato affermato che “La data di un preliminare di vendita in scrittura privata non autenticata, è soggetta, nei riguardi del terzo titolare della prelazione e riscatto, alla disciplina di cui all’art. 2704 c.c. Ne deriva che in difetto della certezza in relazione alle situazioni previste nella prima parte del predetto articolo (registrazione, morte, impossibilità fisica di un sottoscrittore, riproduzione in atti pubblici) è necessario, agli stessi fini della certezza, che si dimostri un fatto idoneo a stabilire con egual sicurezza l’anteriorità della formazione dell’atto. Tale dimostrazione con qualsiasi mezzo anche testimoniale, è volta all’accertamento del fatto idoneo a fornire la certezza di cui sopra, non già in via indiziaria a giustificare soltanto un giudizio di verosimiglianza”, Cassazione civile , sez. III, 11 ottobre 1985, n. 4945.
E ancora, sempre in base alla giurisprudenza consolidata della Cassazione “la disposizione dell’art. 2704 c.c., concernente l’inopponibilità della data della scrittura non autenticata nella sua sottoscrizione nè registrata, opera quando dalla scrittura si vogliano, in relazione alla sua data, conseguire gli effetti negoziali propri della convenzione contenuta nell’atto, non già nel caso in cui la scrittura sia invocata come semplice fatto storico, del quale è consentita la prova con qualsiasi mezzo, anche con presunzioni”, Cassazione civile, sez. I, 01 marzo 2002, n. 3024; sent. 24955/2006; sent. 3998/2003; sent. 4226/2001; etc.
Nel caso di specie è evidente che la scrittura de qua rileva come semplice fatto storico dal quale decorre il termine di prescrizione e non come fonte di diritti e di obblighi negoziali. Basterà osservare che il sig. ATTORE ATTORI non è stato parte del contratto: come può dunque invocare il contratto come fonte di diritti e di obblighi? Né questi riguardano il mediatore, che pure non è stato parte!!!
Controparte ha affermato che la giurisprudenza in tema di opponibilità della data della scrittura privata nei confronti del terzo, ex art. 2704 c.c., è però cambiata a seguito di Cass. civ. 13420/2008.
Non è così. Essa ha infatti suggerito una lettura strumentale di quella sentenza, che, al contrario, ad un certo punto della motivazione recita testualmente: “Questa Corte ha poi più volte affermato che la disposizione dell’art. 2704 c.c., il quale stabilisce l’inopponibilità della data della scrittura non autenticata nella sua sottoscrizione né registrata, opera quando dalla scrittura si vogliano, in relazione alla sua data, conseguire gli effetti negoziali propri della convenzione contenuta nell’atto, non già nel caso in cui la scrittura sia invocata come semplice fatto storico, del quale è consentita la prova con qualsiasi mezzo (cfr. ex multis Cass. 24.11.2006, n. 24955).
Dunque nessun revirement giurisprudenziale c’è stato, anzi il principio è stato riaffermato di recente (nel 2010) proprio in tema di mediazione:
“La disposizione dell’art. 2704, c.c., che stabilisce l’inopponibilità della data della scrittura non autenticata nella sua sottoscrizione né registrata, opera quando dalla scrittura si vogliano, in relazione alla sua data, conseguire gli effetti negoziali propri della convenzione contenuta nell’atto, non già nel caso in cui la conclusione del contratto e la scrittura privata che lo certifica rilevino come semplici fatti storici. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale, in tema di mediazione, aveva fatto decorrere il termine di prescrizione del diritto alla provvigione da due scritture private non aventi data certa, stipulate tra le parti messe in contatto dal mediatore, ritenendole idonee a comprovare l’avvenuta conclusione dell’affare, ed affermando che incombeva al mediatore l’onere di eccepire e provare che la data indicata nel documento non corrispondeva alla realtà)”, Cassazione civile, sez. III, 29/01/2010, n. 2030.
Questa difesa, come detto, ha depositato la copia dell’assegno circolare di euro 31.500,00 tratto su Banca ….. n. ….547222-05 con data 14/06/2006, che in sede di preliminare di vendita fu consegnato dal promissario acquirente alla sig.ra MEVIA MEVI (doc. 4) e il testimone SEMPRONI ULPIANO ha confermato le circostanze della stipula del preliminare e della contestuale consegna dell’assegno.
E’ stato altresì depositata la copia della movimentazione bancaria dalla quale risulta che il suddetto assegno è stato versato dalla sig.ra MEVIA in data 15/06/2008, cioè il giorno successivo alla stipula del preliminare di vendita (doc. 5).
Nella III memoria controparte, modificando ancora una volta la qualificazione giuridica del rapporto (nella II memoria lo aveva ricondotto nuovamente alla mediazione), ha eccepito che ci troviamo di fronte ad una mediazione atipica e che pertanto non si applica la prescrizione breve ex art. 2950 c.c., citando la giurisprudenza in tema di procacciamento d’affari. E’ evidente come detta giurisprudenza sia del tutto inconferente visto che qui ad invocare la provvigione è un mediatore e non un procacciatore.
Ma ciò che più sorprende è che nella III memoria controparte ha introdotto un fatto assolutamente nuovo (e dunque inammissibile), così violando completamente il disposto dell’art. 183 c.p.c., affermando che il contratto sarebbe stato “dolosamente occultato” dal sig. ATTORE ATTORI al fine di sottrarsi al pagamento della provvigione.
E’ anzitutto evidente la tardività (oltre che la gravità) di una simile allegazione, che doveva essere formulata al più tardi con la I° memoria ex art. 183 c.p.c.; ma soprattutto non si vede come il convenuto possa avere occultato un contratto che non ha stipulato!!! Non dimentichiamo, infatti, che il contratto preliminare (e poi il definitivo) è stato concluso dalla sig.ra MEVIA MEVI!!!
Detto questo vanno ricordati i principi giurisprudenziali affermati in materia:
a) l’ignoranza della conclusione dell’affare non interrompe il termine di prescrizione;
b) il mediatore può far valere la sospensione del termine di prescrizione solo qualora il contratto sia stato dolosamente occultato;
c) il doloso occultamento va provato dal mediatore;
d) l’occultamento non è integrato dalla mera omessa informazione.
La lettura delle massime che seguono affermano i principi di cui sopra.
“Con riguardo al diritto del mediatore alla provvigione, che soggiace al termine prescrizionale di un anno decorrente dal giorno della conclusione dell’affare, l’ignoranza di tale evento, nella quale versi il mediatore medesimo, determina una mera impossibilità materiale di esercizio del credito e, pertanto, può assumere rilievo non ai sensi dell’art. 2935 c.c. (che collega la decorrenza della prescrizione alla sussistenza della sola possibilità legale di far valere il diritto) ma come causa di sospensione della prescrizione ai sensi dell’art. 2941 n. 8, c.c., ove la detta ignoranza sia attribuibile al dolo dei soggetti tenuti alla corresponsione della provvigione, coincidendo in tal caso la cessazione dell’effetto sospensivo della prescrizione con la data in cui il mediatore ha acquisito la consapevolezza della conclusione dell’affare”, Cassazione civile, sez. III, 13/02/2002, n. 2071.
“Con riguardo al diritto del mediatore alla provvigione, che soggiace al termine prescrizionale di un anno decorrente dal giorno della conclusione dell’affare, l’ignoranza di tale evento, nella quale versi il mediatore medesimo, determina una mera impossibilità materiale di esercizio del credito e, pertanto, può assumere rilievo non ai sensi dell’art. 2935 c.c. (che collega la decorrenza della prescrizione alla sussistenza della sola possibilità legale di far valere il diritto) ma come causa di sospensione della prescrizione ai sensi dell’art. 2948 n. 1 dello stesso codice, ove la detta ignoranza sia attribuibile al dolo dei soggetti tenuti alla corresponsione della provvigione, coincidendo in tal caso la cessazione dell’effetto sospensivo della prescrizione con la data in cui il mediatore ha acquisito la consapevolezza della conclusione dell’affare” Cassazione civile, sez. II, 28/03/1988, n. 2604.
“In tema di sospensione della prescrizione di un diritto, l’occultamento doloso è requisito diverso e più grave della mera omissione di un’informazione, la quale ha rilievo, ai fini della detta sospensione, soltanto se sussista un obbligo di informare; né il doloso occultamento può ritenersi implicito nella mancata registrazione o trascrizione di un contratto, trattandosi certamente di adempimenti doverosi, in quanto previsti da norme, anche se per finalità estranee ai rapporti tra privati, e tali da poter, in ipotesi, agevolare la conoscenza del contratto da parte dei terzi, ma inidonei, di per sé, a dimostrare il doloso occultamento della data del contratto o di altri fatti produttivi di diritti altrui. (Nella specie la S.C. ha confermato la decisione della corte di merito che, in tema di mediazione, aveva dichiarato prescritto il diritto alla provvigione, non avendo il mediatore dimostrato il doloso occultamento della conclusione del contratto e non sussistendo alcun obbligo del contraente di comunicare tale conclusione al mediatore), Cassazione civile, sez. III, 29/01/2010, n. 2030.
“Come questa Corte ha avuto occasione di affermare (cfr. le sentenze 7.5.1996. n. 4235; 3.9.1994, n. 7645; 28.3.1988, n. 2604; 19.11.1985, n. 5682), la disposizione dell’art. 2935 c.c., secondo la quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce alla possibilità legale e non già a quella materiale di esercizio del diritto; i fatti che tale esercizio ostacolano, compresa l’ignoranza in cui versi il titolare del diritto, sono giuridicamente rilevanti solo come causa di sospensione della prescrizione a norma dell’art. 2941 c.c.. In particolare, nella mediazione la conclusione dell’affare segna il termine iniziale della prescrizione del diritto alla provvigione (cfr. Cass. 5.5.1994, n. 4333); l’ignoranza della conclusione vale come causa di sospensione qualora sia l’effetto di un comportamento doloso del debitore e, precisamente, di un’attività diretta ad occultare intenzionalmente al mediatore la situazione di fatto, sui è collegato il diritto alla provvigione (cfr. in generale Cass. 13.7.1993, n. 7697; Cass. 19.11.1985, n. 5682; Cass. 21.11.1984, n. 5977). Siffatto comportamento non può consistere in una semplice omissione: la medesima, difatti, può avere effetto sospensivo quando riguarda atti dovuti, ai quali, cioè, il debitore è tenuto per legge (cfr. cass. 9.1.1979, n. 125; Cass. 16.2.1967, n. 392), e nessuna norma impone alle parti di comunicare al mediatore l’avvenuta conclusione dell’affare”, Cass. civ. 11348/1998.
Nella fattispecie, oltretutto l’allegazione della dolosa sottrazione del documento:
a) è avvenuta in ritardo (cioè nella III memoria, quando ormai il thema decidendum era definito); ma soprattutto
b) non è stata in alcun modo provata.
Dunque, anche senza voler scendere nel merito, il diritto della opposta è irrimediabilmente prescritto.
IV. SULLA NOVITA’ DELLA DOMANDA
Resasi conto che non poteva chiedere la provvigione ad un soggetto che non era stato parte di un contratto, la soc. NOMEFANTASIA S.R.L. in corso di causa, e precisamente con la comparsa di costituzione e risposta, ha mutato la domanda, ha cioè introdotto una domanda nuova, come tale inammissibile.
Difatti, mentre nel ricorso per decreto ingiuntivo essa ha agito per vedersi riconosciuta una “provvigione per intermediazione immobiliare”, nella comparsa di costituzione e risposta il diritto è stato ricondotto ad un “contratto in favore di terzi”.
Ha scritto, in particolare, la difesa avversaria a pagina 7 della suddetta comparsa: “E’ chiaro come il rapporto di mediazione in questione sia inquadrabile nella figura del contratto a favore di terzi”, richiamando la giurisprudenza della Cassazione che definisce “atipico” questo tipo di contratto.
Tuttavia, MAI nel ricorso per decreto ingiuntivo si è fatto riferimento ad un “contratto atipico di mediazione a favore di terzo”.
Si tratta, evidentemente, di una mutatio libelli, non consentita nel giudizio di opposizione, soprattutto laddove si consideri che quello in esame è un diritto eterodeterminato, in cui il fatto costitutivo è essenziale per individuare il diritto fatto valere.
Affermare che Tizio è tenuto al pagamento di una provvigione per una intermediazione immobiliare che lo riguarda e poi allegare che in realtà Tizio ha agito in favore di un terzo soggetto costituisce una domanda diversa per causa petendi che il nostro ordinamento processuale non ammette (giurisprudenza pacifica; tra le ultime v. Cass. 2723/2010).
Peraltro, nel giudizio in opposizione a decreto ingiuntivo solo l’opponente può proporre domande nuove, non l’opposto, che resta vincolato dalla domanda fatta valere con il ricorso:
“In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la integrale sostituzione, operata dall’opposto, al rapporto obbligatorio da lui invocato quale “causa petendi” della pretesa azionata in via monitoria e negato dall’opponente, di altro quale titolo dell’immutato “petitum” creditorio integra una non consentita modificazione della domanda”, Cassazione civile , sez. I, 15 marzo 2007, n. 6022.
Non solo. Le nuove domande che l’ può proporre ex art. 183 c.p.c. sono solo le domande nuove che siano conseguenza di “eccezioni in senso proprio” sollevate dal convenuto, ovvero relative a fatti estintivi, modificativi ed impeditivi (Cass. civ. 3762/2009) e non quindi le mere difese o la contestazione dei fatti costitutivi della pretesa.
Per tali motivi, la domanda della società creditrice dovrà essere valutata in base a quanto esposto nel ricorso per decreto ingiuntivo, e NON in base al nuovo e diverso diritto fatto valere nella comparsa di costituzione e risposta.
Ma anche ammessa (e assolutamente non concessa questa possibilità di mutatio libelli) la domanda della soc. NOMEFANTASIA è rimasta sfornita di prova.
Difatti laddove si sostenga, come nel caso di specie, che il contratto concluso rientri in quello di mediazione atipica, il mediatore è tenuto a provare:
a) che il terzo ha conferito un espresso incarico in tal senso;
b) che il terzo si è obbligato a pagare la mediazione.
Ciò è stato affermato ripetutamente dalla S.C. ad esempio con la fondamentale sentenza n. 17628/2002:
“Secondo un’autorevole dottrina classica e remoti precedenti giurisprudenziali, che questa Corte ritiene di condividere, è possibile configurare anche la mediazione atipica a favore di un terzo. Infatti non può escludersi che anche un terzo, avendo interesse che altri concludano un affare, possa richiedere l’opera di un intermediario che ne agevoli la conclusione, ed impegnarsi validamente a corrispondere l’eventuale provvigione. Tale rapporto, pur presentandosi simile nel suo aspetto strutturale, non può qualificarsi come mediazione tipica, appunto perché l’attività intermediatrice viene prestata a favore di un soggetto diverso da quello che ha promesso la provvigione e che ha conferito l’incarico mediatorio. Inoltre, e soprattutto, l’atipicità della mediazione discende dal fatto che quest’ultimo soggetto è estraneo alla conclusione dell’affare. In questo caso, però, è necessaria la dimostrazione di quello specifico incarico conferito al mediatore dal terzo e l’assunzione del correlativo obbligo di corrispondere la provvigione (Cass. 9.4.1954, n. 1134; Cass. 29.3.1956, n. 900).
Ebbene, nella fattispecie, è rimasta sfornita di prova la della duplice circostanza:
a) che il sig. ATTORE ATTORI abbia conferito l’incarico;
b) che lo stesso si sia obbligato a pagare la provvigione.
I testimoni di parte avversa (dipendenti e soci della NOMEFANTASIA, con tutto ciò che ne consegue in termini di attendibilità) hanno infatti semplicemente affermato che il signor ATTORE avrebbe autorizzato lo scatto delle fotografie; avrebbe consegnato la planimetria dell’immobile; sarebbe stato presente durante la visita di alcuni clienti.
Ma MAI gli stessi hanno affermato che il sig. ATTORE si è obbligato a pagare la provvigione.
Dunque, anche a voler dar credito (per un momento) alle testimonianze di parte opposta, nemmeno è stata raggiunta la prova della conclusione del contratto in favore di terzo.
RICAPITOLANDO
L’art. 1755 c.c. stabilisce che “Il mediatore ha diritto alla provvigione da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo intervento”.
Il diritto alla provvigione, ai sensi dell’art. 2950 c.c., si prescrive in un anno dalla conclusione dell’affare.
E’ stato dimostrato che il sig. ATTORE non è stato parte né del contratto preliminare, né del contratto di compravendita (e quindi non è tenuto a pagare la provvigione) e che il primo atto di interruzione della prescrizione (24/07/2007) è avvenuto dopo l’anno dalla conclusione del contratto preliminare (14/06/2006) stipulato dalla moglie MEVIA MEVI.
La domanda di pagamento della provvigione in forza di un contratto a favore di terzo è una domanda nuova, come tale inammissibile.
In ogni caso, quand’anche la si ritenesse ammissibile, dovrebbe essere rigettata in quanto la soc. NOMEFANTASIA non ha provato che il sig. ATTORE si è obbligato personalmente a pagare la provvigione in luogo della moglie.
V. DANNO DA LITE TEMERARIA
La soc. NOMEFANTASIA non ha agito con la necessaria prudenza e dunque è palesemente in colpa grave.
Sarebbe bastato esaminare con più attenzione il contratto per rendersi conto che il sig. ATTORE non era parte dello stesso.
Oltretutto ha aspettato più di un anno per far valere le proprie ragioni.
Non paga di ciò, in corso di causa, al fine di ottenere la sospensione della prescrizione, ha accusato, ma non provato, il sig. ATTORE di avere occultato dolosamente l’avvenuta conclusione dell’affare!!!
Alla luce di tutto quanto sopra detto, appare più che evidente la temerarietà della lite avanzata dalla società ricorrente-opposta.
Secondo la giurisprudenza più recente (tra le tante Tribunale di Roma, 8 gennaio 2007, giudice Dott. Marco Rossetti) “In merito alla domanda di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., si osserva che agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave vuol dire azionare la propria pretesa, o resistere a quella avversa, con la coscienza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione; ovvero senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione (ex multis, Cass., sez. I, 21-07-2000, n. 9579, in Foro it. Rep. 2000, Spese giudiziali civili, n. 43; Cass., sez. lav., 16-02-1998, n. 1619, in Foro it. Rep. 1998, Previdenza sociale, n. 734; Cass., sez. lav., 03-03-1995, n. 2475, Informazione prev., 1995, 785). Per quanto attiene al quantum del danno in esame, in materia di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. non è necessario che l’interessato deduca e dimostri uno specifico danno, in quanto il giudice può desumerne l’esistenza e l’entità anche da nozioni di comune esperienza (così Cass., sez. un., 01-07-1992, n. 8085, in Arch. civ., 1992, 1169).
Nel caso di specie, si ribadisce, la società ricorrente ha azionato una pretesa quanto meno con colpa grave, non avendo minimamente verificato il fatto fondamentale che l’ non ha mai stipulato alcun contratto di compravendita, preliminare o definitivo che sia.
Sempre secondo la citata giurisprudenza “il danno ex art. 96 c.p.c. patito dal convenuto è di natura patrimoniale, e può identificarsi col dispendio di tempo ed energie necessariamente impiegati:
– per i colloqui col proprio difensore;
– per l’approntamento della propria difesa;
– tempo ed energie così sottratti sia alla ordinaria attività lavorativa, sia alle attività extralavorative, anch’esse suscettibili di valutazione economica (è, quello in esame, il c.d. opportunity cost: si vedano in questo senso Trib. Roma 22.11.1996, Vitali c. condominio di v. Paolo Emilio 69, Roma, inedita; Trib. Roma 25.11.1997, in Giur. romana, 1998, 65; Trib. Roma 30.3.1998, Vimas c. Saraceno, inedita; Trib. Roma 4.4.1998, Cubeddu c. Franchetti, inedita; Trib. Roma 6.4.1998, Vitali c. Piani, inedita; Trib. Roma 11.5.1998, Pasquesi c. Sidema, inedita; Trib. Roma 28.10.1998, Fuscà c. Veneta, inedita).
Ovviamente, per la sua liquidazione ci si rimette alla prudente valutazione del giudice; qui si reputa equo stimare detta somma in euro 2.500,00, così come fatto dal Tribunale di Roma nella sentenza del 18/12/2006, secondo il quale va “ricordato che nell’attuale assetto della giurisprudenza di legittimità e di quella costituzionale il risarcimento del danno non patrimoniale è sempre ammesso, ogni qual volta venga in questione la lesione di un interesse dotato di copertura costituzionale (Cassazione 8828/03; 8827/03; Corte costituzionale 233/03), occorre dire che, – sul piano del danno esistenziale (su cui v. per tutte Cassazione, Su, 6572/06), l’azione in giudizio o la resistenza infondata comporta perdita di tempo (esame dell’atto, colloqui con il legale, ricerca della eventuale documentazione utile ed altri supporti istruttori, presenza in udienza ecc.), che, se non è sottratto all’attività lavorativa remunerativa, è sottratto alle attività di svago; sul piano del danno morale, se produce sofferenza interiore il prolungarsi del giudizio oltre i limiti di durata ragionevole, a maggior ragione ne produce, nei confronti della controparte, l’atteggiamento di azione o resistenza in giudizio ab origine connotati da mala fede o colpa grave. Ecco, allora, che, mentre la domanda di danni per lite temeraria deve per ciò stesso essere riferita, anche in mancanza di ulteriori specificazioni dell’interessato, al danno esistenziale/morale che, normalmente, scaturisce dalla domanda o resistenza caratterizzata da mala fede o colpa grave, la liquidazione del danno ben può essere effettuata in applicazione dei medesimi parametri che la giurisprudenza applica in caso di applicazione della c.d. «legge Pinto». Il danno, allora, tenuto conto delle circostanze del caso, può essere qui equitativamente liquidato, all’attualità, nell’importo di euro 2.500,00”.
Alla luce di quanto sopra si insiste nell’accoglimento delle seguenti
CONCLUSIONI
Piaccia al Tribunale adito:
A. in via principale, per i motivi di cui in narrativa, dichiarare non dovute le somme di cui al decreto ingiuntivo n. 389/2007, stante la mancanza di qualsivoglia affare concluso dall’ opponente e stante la mancanza di qualsivoglia attività intermediatizia da parte della NOMEFANTASIA S.R.L. in favore dell’.
B. In via subordinata, dichiarare prescritto il diritto del creditore ricorrente ai sensi dell’art. 2950 c.c.
C. In via riconvenzionale, condannare parte opposta per lite temeraria, e comunque per tutti i danni non patrimoniali, alla somma di euro 2.500,00, o in quella diversa, minore o maggiore ritenuta di giustizia, comunque non superiore alla massima somma dello scaglione C) T.U.S.G. pari ad euro 25.000,00.
Con vittoria di spese competenze ed onorari, rimborso forfettario, iva e cap come per legge.
…., lì …
Avv. Mirco Minardi

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La relata credo non sia il caso di metterla, visto che non è un atto dell’avvocato. Casomai potrebbe essere corretto mettere la relata relativa alla notifica in proprio, non crede?